lunedì 10 dicembre 2012




Sto davanti a queste strane dune, di un a colore che è strano anch'esso: non è il giallo scuro della sabbia, non è marrone, ma un colore che non riesco a descrivere e che tuttavia è ben presente nella mia memoria ora che scrivo. Osservo queste dune spostarsi, spinte dal vento, modificate, modellate, fatte scivolare le une sulle altre, alcune dentro altre, altre sopra le prime, in un continuo divenire che si modifica con continuità eppure senza alcuna violenza, solo senza fine.
Arrivo dall'alto a vedere questo panorama immenso e nuovo per me. Arrivo all'improvviso sbucando dal vento, dopo oltre un ora che mi ha tolto finanche il respiro. E' forse tramontana, non so e non conta, ma so quanto è stato freddo e intenso, da portarmi con la mente a ricordi antichi, quelli in cui piccolo uomo ero inorridito dal mancare il respiro per il vento che mi riempiva i polmoni.
Ora sbuco da questa altura ed ho questo mare davanti, senza fine, senza orizzonte, solo con le dune che si spostano, giocano quasi, scorrono in un continuo modificarsi di ciò che vedo. Mi impressiona vedere tutto questo, mi impressiona perché nuovo eppure strano, mi colpisce perché mi dà la dimensione dell'immenso e della mia contemporanea piccolezza.
Il colore si modifica anch'esso, qualche raggio di sole, appena accennato, filtra tra le nuvole marroni o grigie anch'esse e riflette sulla superficie. Il vento non cessa. Il vento scorre e soffia, spinge e spazza, il vento è continuo ormai da due giorni, il freddo scende nelle ossa, eppure sento qualcosa di eternamente bello e sacro che mi viene consentito di ammirare.
Sono al faro, questa torre bianca da cui forse solo pochi anni fa, qualche uomo, addetto a starci, mirava l'alba come me oggi, oppure il tramonto ed il sole sparire dietro la linea di fondo della scena.
Sulla collina il vento c'è sempre, oggi di più.
Sono arrivato dopo chilometri spesi a correre o camminare non so bene, ma sono sempre belli, è sempre sacro affacciarsi qui da questo posto sulla divinità della Grande Madre, affacciarsi a vedere quanto ci sta da riflettere ed ammirare e godere, senza voler dominare.
MI fermo intontito dal freddo eppure affascinato, mi fermo a guardare e a bere la scena come fosse cibo, forse per l'animo, come fosse di che nutrire me stesso, immerso in ben altro, eppur premiato da questa gemma del mattino.
Guardo a destra, lontano le luci ancora della notte si stanno spegnendo, forse verso l'aeroporto internazionale, o il porto dei ricchi che là sta a mostrarsi, bello e finto. Dall'altro lato i resti di un castello che forse proteggeva un tempo da scorrerie piratesche ed oggi è posto per pescatori solitari. La centrale nucleare anche, da chilometri manda le sue tetre ombre sull'orizzonte e ricorda quel che sappiamo fare, noi piccoli presuntuosi.
Ma davanti a me le dune continuano a scorrere, la sabbia d'acqua si solleva in nuvole appena accennate, vapore di freddo spinto in piccoli vortici e lasciato cadere metro dopo.
Si muove tutto, si sposta, non c'è un millimetro immobile, eppure è tutto di un immensa stabilità e solidità che impressiona la mia piccola mente.

Le parole arrivano ora, ore dopo, nel caldo, davanti a fiamme che scintillano dal legno messo a bruciare, davanti al foglio su cui la penna lascia segni che solo altri come me sanno capire, che Lei, la Grande Madre non cura, di cui non ha bisogno.
Ma il bisogno di raccontare, di rivivere, ricordare e tramandare, è troppo, e noi piccoli umani siamo così, ed io anche, condivido questa nostra condizione.
Ma in quel momento, lo ricordo bene, nessuna parola sarebbe mai potuta uscire, non ce n'era alcuna adatta, eppure il cuore si riempiva di immenso, l'anima era spettatrice di qualcosa di raro.

Ora torna tutto, ora gli occhi tornano là, il cuore rivive e ricorda.
Ora da piccolo umano so e descrivo e dico e analizzo e spacchetto quel qualcosa che Lei mi ha donato.
Ora sono qui a dire.
Eppure so che non basta, mai basterà, mai saranno giuste le mie povere sillabe. Ma devo, non posso non farlo.
Altri verranno, dopo me, altri sono stati prima. Troveremo modi diversi, altri ne sono stati inventai e migliori del mio.
Eppure.
Lei, la Grande Madre, ignara, senza alcun bisogno di ciò, continua da infiniti secoli e milioni di anni, e scorre, tranquilla, senza tutte queste piccole necessità, potente nel Suo essere com'è, immensa del Suo Sé Stessa.

Anche solo avere avuto questo onore, questo privilegio, di poter formulare pensieri di questo, per me è gioia immensa, è onore, è dono per la vita mia.


sabato 8 dicembre 2012


Una amica, Edera ( casaedera.blogspot.it) ha pubblicato qualche giorno fa un post
 (http://casaedera.blogspot.it/2012/12/prospettive.html ) sul suo blog che consiglio di andare a leggere e seguire, e la foto, quando l'ho vista, mi ha ispirato le parole che seguono.
Grazie all'autrice dell'immagine che mi permette di usarla anche nel mio blog :-)

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Ci sono, nella esistenza che conduciamo, posti, momenti, atmosfere e situazioni in cui si percepisce qualcosa di decisamente diverso dalla cosiddetta "normalità". Lo sentiamo d'istinto, come un flash che ci colpisca nel buio, come un qualcosa che ci afferra lo stomaco: sappiamo che è così!
Sono momenti diversi, speciali, provocati nelle maniere più diverse, da qualcosa in cui ci si trova a stare, che possono essere situazioni reali, ma anche immagini viste dietro un PC, o musiche percepite lontano, nelle case vicine, o profumi appena carpiti nel nostro andare per la nostra strada.
In questi momenti avvertiamo dentro noi stessi, anche se filtrato in qualche maniera, qualcosa di magico, parola che per noi umani significa incomprensibile e inspiegabilmente bello.

Non si tratta di cose artificiali o costruite, non di situazioni che la massa vede come straordinarie, come spettacoli teatrali o sfarzo di denaro e potere, no! Si tratta di cose che ai più sfuggono, e sfuggirebbero anche a noi se non si stesse in quel posto, in quella situazione con quel particolare stato d'animo e dello spirito.
Sono cose semplici, lineari, pure, pulite.
Avvertiamo una sintonia, un reale essere parte di qualcosa di più grande di ciò che è quotidiano, e che non avvertiamo normalmente.
Questi momenti e queste situazioni sono uniche e veramente preziose.
In questi momenti, ahimè rari, sentiamo il divino, la sacra fiamma ardere dentro di noi ed ardere all'unisono, come un'orchestra in cui gli archi vanno tutti al medesimo tempo e sulla medesima melodia, avvertiamo che ci si espande, che non siamo solo fisico, ma ben altro, molto più.
Lo sguardo si perde, la mente vola, è come una sorta di perdita di corporeità e capiamo quanto la Vita quella vera, sia molto diversa dall'esistenza che trasciniamo nel quotidiano, quanto la Realtà non sia quella che tocchiamo con la mano, ma questa, questa che percepiamo, questa la Vera Realtà.
E se abbiamo questa fortuna, di vivere istanti di tal tipo, non possiamo che ritenerci fortunati, baciati dalla Vita e possiamo solo dire: “Grazie!”



venerdì 7 dicembre 2012

Creatività


Oggi sono entrato in un negozio in cui non vado spesso, ma che amo particolarmente. La proprietaria che lo gestisce con una passione tangibile e affascinante, ha creato un piccolo spazio dove regnano fiori, finti, ma bellissimi e non smorti come quelli finti tradizionali, oppure piccoli pupazzetti, fate, realizzazioni di vetro di Swarosky e non, ed ogni altro tipo di oggetti, direi piuttosto piccoli, ma che emanano una grazia, una armonia in loro e tra di loro tutti. Il negozio delle Fate direi e credo si chiami, realmente!

Ero là perché volevo qualcosa per mia figlia. Tra due giorni compie vent'anni! Vent'anni si compiono una sola volta nella vita e passano, e non tornano, e come le ho scritto si celebrano forse più dopo, quando ci si ripensa, quando tornano alla mente: un periodo, un'epoca, avvenimenti, luoghi, fatti che rimango in noi scolpiti.

Lei non vuole festeggiare.

Nel tempo ha imparato a non farlo, come feci anche io a suo tempo. 
Un po' non siamo delle persone che fanno le feste come si usa fare oggi. Un po' non ne abbiamo la possibilità economica. E poi io stesso non ricordo i miei vent'anni, né i miei compleanni li ho mai festeggiati in modo particolarmente solenne, anche se mi fa piacere trascorrerli in modo adeguato.
Mia figlia forse con questo esempio, forse per altri suoi motivi che non mi ha inteso spiegare, non vuole celebrare questi vent'anni. E così sarà.
Ma.... mi accorgo oggi, io che di anni ne ho ben più dei venti suoi, che alle volte, vado a ricercare oggetti, ricordi, momenti riposti nella memoria, musiche o profumi messi da parte e che mi riportano ad altri periodi, giorni, anni, vite fa... Oggi che sono grande, che sono sulla strada di compiere il giro, oggi apprezzo quel che di un certo tipo di passato, e di vissuto, ho ancora.

Allora ho voluto fare questo, trovare un oggetto che un domani a mia figlia, forse, se anche lei si troverà a percorrere una strada simile alla mia, possa servire a ricordare a rivivere e ritrovare fili sepolti e messi da parte, per esser conservati. Un oggetto non che serva a ricordare mamma e papà, bensì la sua vita, un suo periodo, un suo compleanno, o un'era che oggi vive e che mette da parte e che domani forse, vorrà almeno rivedere come un vecchio film di cui sorridere o tornare a gustare scene, odori, profumi, musiche, pezzi presi qui e là.
Ed ho trovato.
Un cesto di fiori, che a mio gusto (quando si sceglie un regalo è difficile avere veramente il gusto di chi lo riceverà) e mia intuizione che possa piacerle, che possa stare là, nel tempo a vederlo scorrere, osservarlo dipanarsi e abbracciare la vita di lei, mia figlia, per essere pronto, forse, se così sarà, un domani, a riavvolgersi e proiettare di nuovo quei fotogrammi che a lei possano piacere o voglia rivedere e.. rivivere, forse....

Nel comprare l'oggetto mi sono fermato a parlare con la proprietaria del negozio, ed abbiamo scoperto che né lei ha mai pensato in passato a fare quel lavoro, né, io che oggi mi sento anche artigiano del legno, anche se di tipo molto particolare, ho mai pensato a svolgere la mia attività. La creatività e soprattutto il piacere di qualcosa che mentre lo si fa si dà serenità, piacere, ci si mischia dentro, nell'animo, qualcosa di diverso da attività che si possono svolgere anche bene, ma che non ci coinvolgono dentro, questo abbiamo scoperto, rispettivamente.
Ci siamo messi a discorrere di una mia idea che mi veniva mentre ero nel suo luogo fatato: delle cornici fatte di legno e sughero, come uso fare io e che avrei dotato di alcuni suoi fiori o addobbi e là la mia mente ha iniziato a lavorare, silenziosa e senza dare nell'occhio.

Oggi pomeriggio, nel dormiveglia della mia siesta pomeridiana, idee come acqua da una fontana: cornici, possibili quadretti, possibili composizioni di legno e fiori, e così via.... mi sono scoperto a stare sotto un vero getto di idee come se fosse, realmente acqua di fontana, e questo mi ha svegliato del tutto, eccitato, reso vigile e sereno, mi ha fatto sentire bene.
Quasi ho dimenticato i problemi e gli ostacoli che ogni giorno, come in un barrage, affronto e vivo, i dolori e le sofferenze che condiscono la mia strada quotidiana. All'improvviso è come se un pennello avesse dipinto di colori vivi e belli questa mia realtà: la mente creativa, la fantasia e l'inventiva, tutto si era coalizzato e unito per farmi sentire quel che ho vissuto.

Sono alcuni giorni che ho staccato la mia spina dal PC, ho deciso che non gioco online, che la posta email la controllo meno, insomma mi sto riappropriando del mio tempo, del tempo che è mio e che baratto in cambio di apparente distrazione, al PC.
La mente, il cuore, e l'anima stanno rispondendo subito, tornano a vivere.
Io sto tornando a vivere.

E questo alla fine, è l'unico vero e immenso risultato che conti, il resto è solo apparenza e fumo....

domenica 2 dicembre 2012

Storiella politica

Non ce l'ho fatta, primarie, ballottaggio... è troppo per me, anche se non ho seguito nulla in TV, ma è troppo, e qualcosa l'ho voluta scrivere, per me, da me e solo con me stesso... ovviamente se la pubblicassi da qualche parte seria e non su questo blog sconosciuto, verrei tacciato di qualunquismo, si deve combattere, si deve andare in trincea, si deve tornare a combattere....

certo....

Ma combattere è ben altro, partecipare e vivere una vita, anche sociale è ben altro che andare scrivere un nome di un pupazzo su una lista che non mi rappresenta e.. regalargli anche DUE euro...

Per cui almeno scrivo questa storiella....
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I soldati sono in fila per ricevere il rancio nella gavetta.
Una fila ordinata, si parla, si ride, ci si svaga, mentre si aspetta e lentamente si va avanti. Ma i soldati sono soldati, sono abituati ad aspettare a fare quel che gli si ordina, finanche sacrificare la vita, in tanti modi: lasciando la famiglia a casa per andare a combattere i cattivi, tenendo per sé i segreti militari di cui sono al corrente, uscendo dalla trincea sotto il fuoco nemico, pressoché certi di venire ammazzati, ma orgogliosi, di offrire quello che hanno di più prezioso, la Vita, di morire per l'onore, per seguire gli ordini ricevuti: i soldati sono soldati, per questo servono e si usano.

Gli hanno detto di fare la fila, di aspettare, di fare quel che c'è da fare, e loro obbediscono, da bravi soldati.
Fa freddo, piove, si aspetta, ci si è svegliati presto stamani, ma il bravo soldato ubbidisce e non pensa, non deve pensare, è un soldato! A questo serve, serve gente che non pensa e che si possa sacrificare.

Dopo, con la gavetta piena di brodaglia che fuma, ma che non sa di molto, con lo stomaco che brontola per la pancia, perché la brodaglia Non lo ha sfamato, il soldato, il bravo soldato, torna in camerata, si stende sulla branda, chiacchiera con l'amico della branda accanto. Si parla, e piano piano si va a vedere che la brodaglia non era proprio buona, che anzi faceva quasi schifo, che questa vita da soldato fa schifo, ma si è soldati, si deve ubbidire, senza fiatare!
E' la naja che è uno schifo, è essere soldati, ubbidire, essere trattati da soldati, essere comandati, tutto questo fa schifo, il soldato lo sente dentro se stesso, lo dice all'amico, e concordano. Vorrebbero andarsene, fare altro, tornare a fare i lavori in casa nella terra dei genitori, a badare alle vacche, a fare cose semplici, a Vivere.
Sono d'accordo, se solo fosse possibile lo farebbero!

Ma arriva il sergente, urla un ordine e tutti scattano in piedi e sull'attenti, sono soldati, i soldati ubbidiscono, in silenzio.

Inquadrati, si torna sul piazzale, al freddo, in fila per andare al cesso, come si fa sempre nelle caserme. Piove ora, si sta in fila e si aspetta sotto la pioggia e al freddo, ma i soldati fanno anche questo e i bravi soldati lo fanno sempre, fino alla fine.

Gli hanno ordinato di farlo, sono stati in fila, due settimane di seguito, al mattino presto, smadonnando perchè erano tanti e magari dovevano aspettare. Hanno anche regalato due euro al loro esercito, perché così gli è stato detto, ordinato, e loro, illusi di fare una scelta di libertà, hanno votato, hanno pagato, hanno fatto la fila per farlo.

L'esercito ora è contento, ha chiamato a raccolta tutti i volontari/obbligati e questi hanno risposto all'ordine. Addirittura ad alcuni che avevano altri ufficiali è stato detto di ubbidire a questi generali e loro... hanno ubbidito, ogni soldato sa ubbidire e lo fa sempre! Pur se mugugna...

Le pecore sono un gregge, sono tante, i montoni hanno anche le corna, sanno incornare, ci vai tu e ti possono anche correre appresso. Ma... arriva UN CANE, UNO SOLO, o due al massimo, e magari cinquanta pecore corrono via, ubbidiscono e vanno dove il cane le spinge. DUE cani, cinquanta pecore!

Milioni di persone sono morte illuse di fare la cosa giusta: hanno dato la vita, perché altri ne fruissero. Pochi ufficiali hanno portato alla strage milioni di soldati. I soldati sono milioni, sono tanti, ma ubbidiscono, gli hanno insegnato a ubbidire e loro questo fanno.

Sanno bene, i soldati che scegliere un generale o un altro non cambierà nulla, i generali sono corrotti tutti, si cambiano divisa, parlano, usano parole diverse, apparentemente nuove, ma sono sempre loro, generali corrotti. Ma i soldati ubbidiscono, alcuni addirittura sentono la nostalgia delle battaglie, dell'odore del sangue, quando si andava all'assalto, dei vecchi tempi....

Li continuano a prendere in giro, e loro, ubbidiscono, perché i soldati solo quello devono fare: ubbidire e non pensare!

Che poi sia una trincea o andare a votare alle primarie... scimmiottando il Paese lontano che le primarie le ha inventate.... fa lo stesso.... ubbidire e non pensare.... illusi di scegliere!

Ahimé.

martedì 20 novembre 2012

Il vero cambiamento




Ho iniziato a fare esercizio, devo dire assolutamente piacevole, per riappropriarmi del piacere di Vivere.

Oggi sono tornato dal mio lavoro, e senza che nulla di speciale fosse accaduto, all'improvviso, le parole che seguno mi sono sgorgate spontanee, nella mente, le ho scritte ed inviate ad un amico:

La meraviglia ed il piacere di tornare in casa e sentirsi in pace con poco e di nulla. Il piacere di fare le coccole alla gatta mentre ti spogli e godere delle sue fusa, di cuocerti “soltanto” degli spinaci in padella ed in cui metti del parmigiano, dei pinoli e della panna, e che accompagni con pane di Lariano e Chianti...
Tutto nel silenzio che ti fa da concerto ai pensieri che dipani entro te stesso, mentre senti l'odore di ciò che prepari che si spande lentamente.
Mentre entravi in casa gocce di pioggia iniziavano a carezzare le case e le persone, e tu, ora sei nel “calore” del tuo semplice, banale, umile, nido... o tana
Ricco di qualcosa che vale più di mille tesori, ma che non ha nome, né contorni, eppure tu senti di averlo...
La Vita è solo fatta di tanti piccoli silenziosi momenti: ognuno va solo vissuto...


Credo che questo sia un passo essenziale, e perlomeno per me lo è.



sabato 17 novembre 2012

Nel buio lo sciamano intravede la luce


Nel buio della notte, mi sveglio improvvisamente, mai saprò se si tratta del raffreddore o della tosse, o di altro. Ho la sensazione che sia la seconda ipotesi, ma chi ha certezze assolute in questa vita?
Non ha importanza, importa seguire il filo, quella sottile traccia di luce, o di profumo, che mi suggerisce la direzione della mente.
E la mente segue, docile, in questo momento, almeno all'apparenza, governata da me e non cavallo pazzo, autonoma ed impossibile a dirigere, come durante la luce del sole.

Mi alzo, gli occhi sono aperti come di giorno, eppure attorno tutto è silenzio, il sonno regna fra gli umani. La gatta mi scruta, si strofina, sento le sue fusa, poi torna ai piedi del letto, caldo, dove ama avere il suo regno.
Mi alzo, gli occhi sono aparti, ma non come quando c'è il sole.
Ragiono, ma non normalmente.
Ragiono...? a che serve dire che “ragiono” ? Che senso ha volerlo a tutti i costi? In realtà sto seguendo la traccia, avverto che devo, voglio andare, seguire , e lo faccio, non mi curo del come e di dove mi conduca.

Scrivo, al computer che ormai è il mio taccuino. Non sono provetto a farlo svelto, eppure, nel buio, le dita trovano i tasti come non faccio col sole, le parole sgorgano come torrente di montagna, quei torrenti di cui amo sentire lo scroscio amico quando li avvicino nel verde. Il filo si sviluppa, chiaro, semplice. Scrivo e capisco, mentre scrivo si chiarisce cosa, e sento che mi sto aprendo a qualcosa che non so cosa sia, ma lo sento chiaro, ne sento la potenza, il chiarore come di un alba che fisica non è: alle tre del mattino il sole è ancora un ricordo di ieri.
Riprendo tutti i pensieri che prima, nel letto stavano là, accavallati, accalcati e pronti ad uscire, come paracadutisti in fila per lanciarsi nel vuoto. Ora escono tutti, e la linea si fa chiara.

Nel buio mi sento come se avessi la luce, ma non di qualche verità come quelle di cui ormai è troppo intasata la vita di tutti, una verità più intima, semplice, reale, la mia. La mia piccola e banale storia diventa più semplicemente chiara.
Mi tornano episodi, ritorna il ricordo anche del passato remoto, anni dietro, secoli fa della mia infanzia e ne scovo particolari, ne vedo piccoli momenti, li vivo come fossero qui e li trovo nuovi eppure noti: tutto è diverso, tutto è nuovo, eppure già era noto.

Lo sciamano che è in me sente chiare certe cose, vede cose che il sole mi offusca, sono un morto vivente che cammina fra apparenti vivi, sapendo dove cercare. Ma io non cerco la morte, bensì la Vita, quella vera, che al sole viene nascosta dal clamore, dall'abbaglio, dal caos, e la vedo ben chiara, la seguo, la sto pedinando. Non sono affatto morto, sono morto a quella vita, che chiamiamo così perché ci è stato insegnato, ma avverto e vedo questa come Vera, nessuno me ne leverà mai più la certezza, lo so!

Trascorre il tempo, lento eppure come lampo, mi ritrovo a vedere che la notte forse sta iniziando a scemare, e torno a riposare, a svolgere la routine giornaliera.

Ormai un dado è stato tratto, non si torna indietro, non più, le legioni hanno le navi bruciate e si va solo avanti verso la Vita. Sorge il sole in questo novembre del litoarle romano, e un vago sorriso mi si disegna nello sguardo o nel cuore mentre preparo il caffé del mattino: “good morning..sciamano..”


martedì 13 novembre 2012

Tempesta


Sento prurito al braccio, alzo la mano e mi gratto. Decido di di pulirmi le braccia o le gambe, le lavo, dopo averle insaponate, le sciacquo, mi strofino. Tutte azioni i del tutto normali, del tutto quotidiane.
Le osservo dall'esterno, anche da un punto di vista dove possa fare una sorta di zoom, di ingrandimento, e vedo delle parti di me, molto grandi, che vanno ad agitare peli, piccoli e fini peli, li spostano anche direi con una certa violenza, per poi pulirli e rimetterli a posto, o meglio, lasciare che se ne tornino a posto, man mano che si asciugamano. Tutto normale, molto normale,nessuno se ne scandalizza né pensa che le mie mani siano nemiche dei peli, anzi, io che sono colui che ha una certa coscienza di se stesso, sono considerato pulito e per bene, visto che mi tengo pulito e faccio queste azioni di cui sopra.

Due giorni fa sono andato al mare mentre il vento infuriava e piegava le palme della strada e gocce portate dal vento, di acqua salata, cadevano a mo' di pioggia sull'asfalto.
Visto da un punto di vista esterno, diciamo allontanandomi dalla terra di qualche km, e dando un'occhiata al mare ed al vento che dal mare proveniva, l'altro giorno ho pensato a quella scena come qualcosa di simile al mio quotidiano pulirmi, al corpo, un tutt'uno che stava provvedendo ad alcune funzioni considerate necessarie.
Nessuna “natura nemica”, nessuna mare che aggredisce la terraferma”, nessuna immagine apocalittica mi sembrava intelligente. Vedevo palme gigantesche e robuste piegarsi e flettersi sotto la spinta del vento, e poi tornare immediate a posto. Qualche ramo di albero o di palma, sul lungomare, poi dopo, l'ho trovato spezzato, in terra. Esattamente come quando mi lavo che qualche pelo, quelli più pecchi, più deboli, si stacca e cade...
Ma nulla che potesse avere a che fare con una immagine in cui una parte lottava contro un'altra.

Allora dove sta l'inghippo?
Nel nostro continuo e storico considerare la Natura come entità esterna a noi stessi, come non volerne neppure considerare la possibilità che siamo un tutt'uno, una unica entità di cui ognuno è parte e di cui vediamo processi e fenomeni ma dall'interno!

Da quando sto modificando il mio punto di vista, il paradigma con cui osservo ciò che accade e in cui sono coinvolto, cambia anche la mia reazione e il mio sentire verso le stesse situazioni. Ciò non toglie che non desideri essere trascinato via da un'onda anomala o rimanere schiacciato sotto un cornicione spazzato dal vento, ma... è diverso lo spirito con cui osservo e vivo il tutto.

Invece di passare il tempo in faccende inutili e assolutamente senza significato come alcuni dei nostri passatempi che poi, finiti, ci lasciano esattamente nel punto in cui eravamo, forse... sarebbe utile, soprattutto al nostro stato mentale e sentimentale ed emotivo, riflettere su qualcosa di sostanziale...
Ma riflettere, pensare, formulare pensieri ed idee, vuol dire poter essere indipendenti e non governabili, e questo può essere che non piaccia... e quindi continuano ad ammannirci motivi di riflessione assolutamente idioti e senza significato, per menti così indaffarate pensare diviene una chimera...


domenica 11 novembre 2012

Abitudini....


Sono stato fortunato. 

Sono nato 56 anni fa da due genitori, che ormai non sono più qui, da cui ho avuto affetto, serenità e calore familiare, malgrado avessero difetti come ogni essere umano di questo mondo.
Nessuna violenza di alcun tipo, eccetto il fatto che di scapaccioni sul sedere ne ho avuti, ma quella non era violenza, perché ne ho avuti solo quando è stato necessario. Nessun altro tipo di traumi particolari.
Una adolescenza serena, anche se con poco denaro, con cose essenziali e semplici, ma quelle che mi lasciano una memoria densa di affetto e un po' anche di nostalgia, lo confesso.
La domenica mattina (in realtà la cerimonia iniziava il sabato sera), quando ero piccolo giocavo, quando ero più grande studiavo, ma costantemente con un odore di sugo fatto con pomodori, alle volte con della carne a spezzatino messa a cuocere e stufare lentamente. Per ore questo tegame (allora di coccio e non di acciaio inox) in cui il rosso diventava sempre più intenso e questo odore che si spandeva in casa e faceva da sottofondo alle faccende tutte.
O la sera prima, se tutto era iniziato presto nel pomerigio del sabato, ovvero in mattinata della domenica, poi, avveniva l'altro rito: passare il tutto in quel passino a manovella, di acciaio inox, quello sì, che spesso toccava a me, in cui entrava tutto, tranne la carne, è naturale, e da ci usciva polpa.
Poi ancora a cuocere, o meglio a consumare, rapprendere, diventare quel sugo così buono con cui mia madre, poi, verso le 13, condiva la pasta che era buona come più ne ho mangiate nel tempo.

I pomodori non sono quelli che allora compravamo al mercato. Qualche contadino veniva fin là, a Roma, a vendere il prodotto del suo lavoro, e noi compravamo quasi a km zero, e gustavamo sapori che ormai abbiamo dimenticati.
In tutto ciò, la vita familiare si svolgeva in una routine direi molto ripetitiva, eppure c'era qualcosa che la rendeva bella, serena, direi unica.
Armonia. Malgrado non avessimo che una TV regalataci a forza dal nonno, e niente altro svago che una radio a valvola, ricostruita perché era un ricordo della famiglia, ma niente altro: PC, microonde, cinevison o stero a dieci canali, nemmeno l'automobile per fare le gite fuori Roma, per sfuggire alla metropoli, niente altro...

Eravamo sereni, tutti, ognuno a modo suo.

Ora provo, sto provando a riappropriami di quel calore umano. Provando....reimparando..

Sarà l'età o veramente che avverto quel che veramente è essenziale a Vivere una Vita: ora preparo il sugo di pomodoro, non sempre, ma lo faccio, provo, seppure i pomodori sono diversi. Provo a stare la domenica in casa al mattino, seppure prima mi faccio 12-15 km di footing, al mattino presto. Provo a mettermi a leggere, gustando di quel calore che emana da questi gesti semplici e banali, ma che amo, ancora o di nuovo.
Curo le piante del mio orto (per ora) sul terrazzo. Pulisco casa, riordino o organizzo il bucato. Insomma faccio qualcosa che vagamente posso dire, sono le faccende della domenica.
Ma questo non significa che non andrei volentieri fuori a fare un giro in montagna, se ne avessi la possibilità...

Ma cerco di assaporare, ricercare e ricreare quelle piccole cose, banali, quasi senza importanza, apparente, che invece sono quelle che mi rendevano serena la vita, ma che la rendevano vivibile e serena anche ai genitori con le loro preoccupazioni da adulti.

La strada per riprendere in mano la Vita, o forse per prenderla finalmente in mano, sento nel cuore mio, passa anche di qui...


giovedì 1 novembre 2012

La montagna e non la città...






La montagna e non la città!
Per me la montagna non è stata e non è tanto e solo parete da scalare, o pendio da salire, o massa che mi intimorisce ai cui piedi mi sento piccolo eppure parte di lei. La montagna è un modo di sentire, di essere, di percepire, è una selva di emozioni come un mazzo di fiori in cui c'è di tutto.

La montagna con la pioggia, forse la amo di più.
Ricordo di quando il cielo era basso e grigio di nuvole cariche di acqua, Quando le nuvole erano qualche centinaia di metri sopra me e carezzavano gli abeti vicino casa, ed era difficile mettere anche il naso fuori, perché pioveva, magari da mattina presto, quando invece del sole dietro il crinale che ci sovrastava, trovavi già le gocce che scendevano lente o intense, a seconda dei casi. La grondaia del terrazzino che faceva da tettoia e sotto cui mi mettevo a cercare di star fuori, all'aria, gocciava, portava acqua a terra, nella ghiaia bianca. Faceva freddo, anche se era magari estate, eppure amavo quei momenti, sentivo di stare bene, di essere là, in quel momento, una parte di qualcosa di unico.
Ero ragazzo, direi ragazzino, e non capivo bene, ora scrivendone, lo avverto chiaro.
“Il richiamo” era quello ed io d'istinto lo ascoltavo e lo vivevo, ero solo immerso in una rete ancora non visibile che man mano, negli anni si sarebbe sempre più chiusa, fino a mettermi ben bene nel sacco.
Ero felice, stavo bene.
Mi rintanavo magari sotto il piumino, o al tavolo a studiare o giocare a carte, al chiuso, osservando di sottecchi fuori, le gocce, la pioggia, il bagnato in terra, a sentire quei momenti, avvertirne l'odore e rubarne l'aroma, come un orso ghiotto fa con il profumo del cestino della merenda che intende andare ad esplorare...

Eppure ero felice anche quando tornava il sole. Uscivo nel mattino freddo, perché era freddo e lo sentivo sulle gambe, avevo spesso i pantaloni corti, anche a vent'anni. La pelle d'oca e il freddo sul viso o sulle mani. Eppure i raggi facevano capolino dietro allo spigolo nero che sovrastava la valle dove vivevo quei momenti splendidi come mai. Uccellini piccoli credo, a giudicare dal loro verso, iniziavano a cantare lodi o gioia di vivere, un venticello freddo eppure dolce mi avvolgeva quando dal caldo della casa uscivo su quella stessa ghiaia bianca che assorbiva la pioggia e ne godevo il tutto che non so bene manco cosa fosse veramente.
Freddo che sentivo forte quando uscivo dal caldo del rifugio, più in alto, sotto le pareti, ed ancora nell'ombra fredda della notte, pur se il cielo era azzurro pel giorno che si stava alzando. Uscire era bello, anche stare là, in silenzio, ché la maggior parte di noi era ancora assonnata, e i pochi che preparavano gli zaini o le corde e i moschettoni, erano silenziosi, forse avvertendo, incoscienti, che erano momenti sacri, quelli.
Era tutto bello, era magnifico, ora lo so!
Stavo bene!

Montagna e non città. Dove venivo riassorbito, risucchiato da tutto. Una giostra, come l'ha descritta Terzani, da cui scendere è diventato sempre più difficile, finanche impossibile quasi.
Piovra che ti avvolge e stringe fino alla gola per soffocarti ed impedirti di essere animale in nome della civiltà o peggio, del progresso.
Eppure oggi non mi sento progredito, se guardo indietro agli anni spesi. Avrei potuto spenderli forse più ad osservare gocce cadere dalla grondaia o le nuvole grigie nel cielo basso o a rabbrividire nel freddo del mattino. Ma la vita non ha deciso così per me, ha lasciato che arrivassi fino ad oggi. Ma oggi riaffiora il ricordo e la nostalgia. Sono momenti condivisi con amici che ormai sono molto più assorbiti di me, perché convinti che “così va la vita”.
Io no!
Nel ricordare, nello stesso scrivere ora, ho un dolore sordo allo stomaco, dentro. Ho male e allo stesso tempo sorge forte incomprimibile, la decisione, irrinunciabile.
Ne approfitto, sto segando la fune che mi tiene qui, e piano piano la lama, seppure rovinata dal tempo, arrugginita forse, sta sfilacciandola, la fune, e vedo i trefoli staccarsi, spezzarsi e dividersi e sento la tensione che sta diminuendo, sento che sta per staccarsi tutto e farmi fare il balzo; forse con lo strattone dello strappo cadrò e mi farò anche graffi, ma staccherò la fune, la sto staccando e tornerò ad assorbire quegli odori, di pino bagnato, di terra umida di pioggia o di sole nel mattino, ad aprire i polmoni all'aria fresca e fredda, o ad immergere il viso nell'acqua gelida della fontana. Non ci saranno più materialmente quelle persone che un tempo c'erano. Ne avvertirò la mancanza. Ma è una pagina nuova, non serve dolersi della vecchia, non si gira indietro, non si può. Però tornerò là e ringrazierò di questa fortuna: avere il desiderio di vivere.
Per me quella è la Vita: “la montagna e non la città”!


venerdì 12 ottobre 2012

Decidere


E' bastato prendere una piccola, banale e semplice decisione: smettere di “giocare” al PC, online, col PC, offline, smettere di gettare del tempo per “passare il tempo”; è bastato averlo deciso, stabilito ed eletto come mio personale principio, d'ora in avanti, e... improvvisa, la libertà, la sensazione di leggerezza, qualcosa che c'era anche prima, che non mi era affatto negata da chicchessia, eppure.... era come invisibile, questa qualcosa è stata improvvisamente visibile, netta, palpabile anche in modo fisico!
Mi sento diverso, mi sento leggero, mi sento bene, felice, addirittura felice, come se fossi uscito da una prigione, avessi segato le sbarre, o meglio, addirittura fosse stata annullata una condanna e fossi di nuovo libero, di gestire il mio tempo, la mia vita, me stesso...

Basta avere questa decisione, affrontare questi piccoli, banali, striscianti serpenti velenosi che ci fanno morire lentamente imbrigliandoci in mille inutili gesti che ci mettono là, in un angolo, a morire, lentamente e gradualmente, ma progressivamente.
Basta decidere, accorgersi di questo meccanismo subdolo, e... tac! Si spezza, scompare come il mostro che col buio sembra pauroso e che con la luce, che noi accendiamo, si rivela essere un banale oggetto in terra!

Non servono anni di cammino, non ore di meditazione, solo volerlo, desiderare riappropriarsi di se stessi, della propria vita, ed eccola là, a portata di mano, basta solo volerlo, farlo, ed eccola tutta, intera, completa, così com'è, perfetta nella sua normalità, ma nostra.

La Vita è semplice, siamo solo noi umani che la rendiamo difficile.


domenica 16 settembre 2012

Mattino al Cimitero Americano



Ieri era una bella giornata qui, al mare, dopo due giorni di brutto, di nuvole, grigio e pioggia. Il vento aveva portato via non tanto le nubi, quanto quella normale cortina di impalpabile grigeria, che rende tutte le forme non nitide, come sporche... ma dato che questa cappa cade lenta e graduale, noi ci abituiamo e non ce ne rendiamo conto, tranne.. quando se ne va improvvisa.

All'improvviso il cielo torna blu, le forme nitide, pulite, nette, più distinte, tutto sembra diverso, eppure è sempre là, come prima, è solo che ora lo possiamo vedere meglio....

Frutto della civiltà che ci impregna di sporcizia anche nell'aria che crediamo pulita....


Ieri era così, pulito, tutto diverso.

Andare in giro ieri era bello, era piacevole ed al mattino, verso le 10 il sole scaldava l'aria del fresco che si era posato nella notte, e poter gustare di ciò era bello, piacevole, riempiva l'animo.

Sono andato al mio “listening poin, al Cimitero Americano, a farmi un giro, a gustarmi questa aria diversa.

Sono arrivato a metà del giro, ad un'area dove è stato ricavato un bellissimo giardino di rose, dove colori diversi, che vanno dal bianco, al rosa pallido, al rosso intenso, mi mostrano tante varietà di piante varie, sempre di rosa e si mescolano a disegni verdi di siepi ed al rumore ed al colore blu di una fontana.

Quel posto è sempre diverso, ha sempre una sua particolare atmosfera, fatta di silenzio nel rumore di sottofondo, sia della fontana, con l'acqua che cade e goccia in basso, sia dei rumori lontani della città, sia di quelli vari, di uccelli, del vento, di tutto ciò che compone quella scena.

Quel posto l'ho conosciuto anni fa e spesso ci vado a stare là, seduto, in silenzio, ad ascoltare...

Ieri volevo solo fare un giro, gustare di quel luogo che sembra un'oasi di ordine e di cura, nel caso di questa città del litorale sud di Roma.

C'erano visitatori, diversi, non troppi, ma per lo standard del Cimitero Americano, mi parevano abbastanza. Diversi gruppetti di turisti, tutti di una certa età: alcuni di lingua inglese, come spesso accade, credo americani, è ovvio, altri italiani, ma tutti indistintamente con un'età che ad occhio superava i 60 anni.

Due famiglie si sono trovate al “giardino di rose” quando passavo io. Per entrarci, dal vialetto principale, si devono scendere quattro gradini, e si entra nell'area delle rose, si può fare un giro, saranno 50 metri, un semplice giro di qualche minuto. Io conosco quel posto, passavo, L'ho visitato e gustato e sinceramente lo preferisco quando è veramente solo lui, senza nemmeno le voci di sottofondo dei visitatori.

Ma loro, si vedeva, non lo conoscevano, lo guardavano, i loro occhi scorrevano, dall'alto verso le aiole curate e belle.

Pochi commenti. Sguardi, superficiali, gettati là come per caso, per incasellare un luogo e dire:”l'ho visto”.

Dei quattro nessuno, c'erano anche due donne, in genere le donne amano i fiori, in genere quasi inconscio viene di andare a sentire l'odore, di una rosa....di quei quattro, nessuno ha sentito la spinta, il desiderio di andare là a curiosare.

Lecitissimo, è naturale, eppure.

Ho avvertito la superficialità della nostra vita di oggi, la maniera di vedere, scorre e correre, anche quando si visitano luoghi, quando si va a vedere. Si va, si getta, anzi si butta... uno sguardo, si classifica e si cataloga e si può mettere la tacca, dire che quel posto, sì, lo abbiamo visitato, ma basta così. Non si va oltre, non si fa un gesto, un passo in più, come quando si legge un libro: importa come finisce, la storia, nulla altro.

Forse è stato sempre così, non posso dire molto, eppure...

Eppure ieri mi ha colpito come quelle quattro anonime persone, non giovani, quindi prese dalla corsa della vita, ma di una certa età, e quindi, credo, più inclini alla Vita da sorseggiare, da odorare, da gustare, non abbiano avvertito il bisogno di soffermarsi.

Non che si debba, assolutamente, ma che avendone tempo, e si vedeva dalla calma con cui loro giravano, non abbiano avvertito il bisogno di andare oltre...

Non importano quelli, quei quattro. No! La riflessione che mi è venuta è sulla vita che tutti un po' corriamo a condurre, appunto...correndo, senza fermarci, anche quando possiamo, senza voler andare oltre e cercare di sorseggiare, di degustare...

Ormai serve solo guardare ed accumulare, di corsa, perché non serve altro.


E questo ci fa perdere piccole, insignificanti cose, gesti, particolari, istanti, fugaci immagini che scompaiono come lampi di luce di lucciole, e la vita tutta, credendo che essa sia fatta di tutta quella sarabanda di luci e rumori che sono quelle del circo di attrazione che invece ci fa solo stare avvinti dal nulla, inebetiti e sempre meno coscienti di noi, dell'immenso bene che abbiamo ricevuto in dono.


Considerazioni malinconiche le mie, che non hanno valore economico, e che servono solo a me. Ma la tristezza che me ne è venuta è per chi mi segue, mia figlia. Chi sa se mai avrà questa fortuna che a me è stata data, di accorgersi di certe cose, anche se magari con della tristezza, ma accorgersi, vedere, averne percezione.

Glielo auguro, lo spero.



Chi sa se certe cose le avrà pensate anche mio papà per me... non lo saprò mai. Ma forse è proprio questo il cerchio della Vita.


Ora chiudo il pc e vado a far un giro, stavolta vado in riva al mare ad ascoltare la risacca...



martedì 4 settembre 2012

Temporale notturno



Nel buio tutto sembra differente, ombre, rumori, pensieri, tutto sembra voler metterci paura, o forse, sono le nostre paure che riemergono, fanno capolino, nascoste nella luce del sole, come vampiri interiori, e riprendono vita, coraggio e forza,e ci assalgono e noi lottiamo per difendercene, per sfuggirle, non so bene; quel che è sicuro è che al buio tutto si percepisce diversamente.


Mi sveglia la luce del lampo e subito il seguente rombo, imperioso, improvviso e forte, vicino, del tuono. Poi come leggo, nei libri di studio della Prima Guerra Mondiale, il rombo dei cannoni, nel bombardamento che precede l'assalto e inchioda i difensori nelle trincee, con la paura di essere squassati dalle schegge e col terrore atavico che è ereditato da millenni prima dell'uomo moderno; allo stesso modo, arriva il continuo rombo di tuoni, alcuni vicini, se non sopra il mio cielo, altri meno, altri ancora lontani, verso le isole che sono nascoste dalla linea dell'orizzonte, ed ora, anche dallo scuro della notte, ma ben udibili e ben risonanti nel mio animo.

Coi tuoni l'acqua, lo scroscio, talvolta prepotente, come un gigante che gettasse secchi di acqua sulla mia testa, alle volte meno furioso, seppure intenso, fitto, tanto da farmi pensare che se andassi fuori ora, in pochi secondi sarebbe come sotto la doccia, ma fredda.


Mi viene in mente una volta, ero in tenda, sotto alti monti della zona dell'Engadina, le pareti scure del granito del Cengalo e del Pizzo Badile a fare da quinte di quel teatro notturno. Un temporale non tanto denso d'acqua, quanto di rimbombi di tuoni, che scoppiavano sulle cime ed echeggiavano nella valle fra i muri di roccia, inchiodandomi nel sacco a pelo, con paura sì. La tenda protegge dall'acqua, ma non dal rumore, chi ci ha dormito lo sa. Non si può fare l'amore normale nella tenda, oppure ruttare, si deve stare attenti, chi ci sta accanto sente tutto. Così i tuoni, gli scoppi, quella notte, mi inchiodarono, atterrito eppure affascinato, per un paio di ore, nel buio più nero, che non era nelle luci perenni della città, ma fra altre tende, dove altri come me, tremavano, forse, pur irretiti dal fascino della Natura che si manifestava così, unica e potente, come è.


Ora nel comodo letto della città, ripenso a quella notte, sono passati forse trent'anni quasi, eppure lo stesso fascino, quasi attrazione, intensa e selvaggia, sento prendermi e risvegliarsi latente in me per questo periodo.


La ragazzina che mi dorme accanto mi stringe il braccio, è piccola, delicata e tenera, non ha esperienza di questo, la sua pelle non è di quel coccodrillo o lupo che vogliamo, che sono ridotto ad essere io, lei è pulita, ed ancora deve gettarsi nelle onde della Vita. Trema, ad ogni botto salta, sussulta, sento la sua paura, e le carezzo la testa con amore di padre e compiancenza, verso me stesso, che malgrado l'atavico timore che avverto, eredità dei miei antenati delle caverne, ho domato almeno in parte, il cieco afferrarmi di questo sentimento; riesco addirittura a gustarne, pur nel silenzio, come tazza calda di the, nel bagnato della pioggia.


Mi sorprendo quasi ad aspettare con gusto il prossimo rombo, pur vagamente ansioso. Non sei mai sicuro, almeno non io. Ormai ho imparato che io sono solo una parte della Natura e che essa non è un Essere a me estraneo, essa è Lei ed io in Lei, e se si sconvolge, posso esserne parte sconvolta, anche io. Non domino affatto questo Essere, non lo posso, né lo desidero, bensì la rispetto, rispetto questa altra parte di cui io sono parte. Il rombo di ogni tuono mi ricorda che sono un battito d'ali nell'immenso e che questa è il senso di immenso e divino e di tutto che avverto alle volte. Questo mi fa stare bene, malgrado il rumore, malgrado la gatta che ha paura anche essa, se il rombo è troppo vicino, se anche lei risponde all'istinto che la fa fuggire di fronte all'ignoto.

I miei antenati nelle caverne, o in capanne di legno, da cui l'acqua trasudava e passava, non penso stessero così tranquilli, in un letto morbido come il mio, avvertivano umido, bagnato, rumori e paura, ché non sapevano gran che. La loro paura è la mia, si è trasmessa da secoli, nei secoli ed a me è arrivata, seppure sgualcita dal passaggio di mano in mano, di animo in animo, fra tanti che mi separano da quei tempi, ma la avverto chiara, è lei, è proprio lei.


Vivo vicino al mare, ora, e sento le onde rombare, nel buio, quando gli scosci di pioggia lo consentono, e pur non essendo un navigatore, mi immagino in una barca, alla cappa, nel mezzo di questo temporale, o tempesta, non so come dirla. Mi vedo piccolo, nulla, nella furia, o forse nella manifestazione di natura e vita della Terra, la Madre cui noi tutti torniamo, dopo anni di vagare disordinato. Mi immagino e mi viene, ora sì, paura, come sarei là, solo, nel buio, ma non sicuro, non mi ci sentirei. Ringrazio la mia vita di passione per la montagna, che mi ha condotto sempre su terreno fermo, e che se anche sotto temporali, mi ha sempre fatto fermare, mal che vada sotto un albero, in attesa del fulmine catartico, o sotto un bordo di roccia, gocciolante nel mio collo, in attesa del dopo. Ringrazio, anche di queste emozioni notturne, perché ogni emozione è pur sempre vita, sintomo di esistenza e queste emozioni, forti, sconosciute a chi si nutre di civiltà ed attende solo il telegiornale o lo special tv o la discoteca, per me sono quello che mi ridona forza, energia per cercare di riprendere a nuotare, per sfuggire, per uscirne, da questa giostra mortale in cui mi trovo gettato da me stesso e consapevole solo ora.


Il temporale sembra attenuarsi, sembra che i rombi si allontanino, conto i secondi fra le luci dei lampi ed il rumore e capisco che sta andando. Altri ora avranno questo dono, queste emozioni o forse solo il suo fastidio; un temporale per tanti è fastidio, un nemico che ci impedisce di svolgere questo monotono gomitolo di sopravvivenza che chiamiamo vita, fatto di abitudini, frustrazioni e privazioni, ignari di dove sia veramente il flusso del fiume, quello che leva veramente la sete e regala la vita, quella viva.

Non importa, ora mi posso rilassare e lasciare la mano della ragazzina; il suo respiro torna lieve, si è placata la sua paura, forse cullata dal gocciolare dell'acqua della grondaia, o forse sopraffatta dal sonno che in lei è ancora abbastanza profondo, ché pulito e vergine dal progresso. Sento anche la gatta quietarsi e tornare una ciambella nera, calda a tranquilla, come di solito.


La vita torna normale, il film è finito, scorrono titoli di coda.

A me rimane il mazzo dei pensieri, delle emozioni, questo non me lo può togliere nessuno, questo mio, grato lo ripongo, domani con la luce lo stenderò sui fogli.

Ora stanco dormo anche io, stacco la molla del cervello, e mi lascio cullare dalle gocce che odo cadere ritmiche e regolari, e sorridendo dentro, nel cuore, metto il punto finale.