Sono tornato nel luogo dove ho
trascorso gli ultimi 7 anni, a sud di Roma.
Una visita non dovuta,
bensì voluta: per rivedere amici e persone con cui ho condiviso anni,
sofferenze e gioie e lavoro.
C'è stato lo stare insieme, il parlare,
lo scambiarsi qualche idea, e poi una cena, molto informale, anche se
in un bel posto.
Ho trascorson pomeriggio
ed una sera con persone con cui fino a qualche mese fa ero molto in
contatto, quasi quotidiano, con cui si sono condivise cose assai
profonde e significative, avventure di vita assai importanti per
tutti.
A ne esco con poco o
nulla dentro.
E' doloroso doverlo
ammettere con me stesso, ma ormai, sono fuori dalle loro vite e
quindi in pratica dai problemi e dai discorsi, e quasi forse
addirittura scomodo, scomodo nel mio avere scelto una strada diversa,
differente dalle loro, pur senza permettermi di giudicare nulla.
Scomodo perché alle volte vedere che certe cose che diciamo di volere, qualcuno poi, pagando e caro, lerealizza, ci mette di frone alle nostre debolezze: parlare... e mai agire.... continuare a raccontarci una storia densa di scuse....
Non so se sia così, ma ne ho avuto un vago sospetto.
Sono tornato qui a casa, vicino
a Roma, stanotte con un senso di vuoto immane e di sofferenza, per
aver constato come nella stragrande maggioranza dei casi, quel
rapporto che chiamiamo amicizia, pur se consolidata, appunto da anni
e dalla condivisione di molte vicende, quel rapporto si spegne
soltanto ad allontanarsi fisicamente, non regge alla distanza, alla
non quotidianità.
Ho trovato i miei “amici”
immersi ognuno nella loro quotidianità, nel vortice dei pensieri,
dei problemi e delle difficoltà delle loro vite, assai poco
interessati a come io poi spenda il mio tempo, se non in modo
informale, quasi di forma, ma molto poco di sostanza.
Alla fine i discorsi sono
girati attorno alle loro quotidianità, la mia o non interessava, o
peggio (sospetto),metteva a disagio, forse perché mostrava che si
può anche vivere diversamente e sopravvivere...
Purtroppo (o per fortuna,
non so...) ho sviluppato nel tempo una sensibilità che mi fa
avvertire queste situazioni, mi fa accusare queste vicende, questo
“vissuto”. Non che ci ripensi e me ne senta offeso, ma
sicuramente sento il sapore che rimane, lo avverto e molto ben
chiaro, molto netto.
E sento l'amaro.
Mi chiedo quanto, oggi
(ma nei tempi passati sarà stato ancora così o no?), questi
rapporti siano appunto profondi, veri, realmente sentiti e non solo
vissuti perché ….”fa comodo”... un amico non è un vero amico,
ma fa comodo perché non sei solo, nell'andare al cinema, nel
trascorrere il tempo in ufficio, o a fare jogging.... ma nella
sostanza rimane un estraneo, che quando esce di fatto dalla tua vita
per viverne una diversa, magari lontano fisicamente, diventa una
parte estranea a tutto di te stesso, di cui non ti importa realmente
sapere e conoscere.
Ho sempre considerato una
fortuna poter ascoltare la vita di un altro, apprendere come lui
vive, cosa prova, cosa fa, e osservare, in silenzio, perché da
questo imparo, mi arriva qualcosa, o forse anche nulla, ma pur sempre
è qualcosa che arricchisce la mia esistenza.
Ed invece, ieri, ho avuto
l'impressione che l'intensità del rapporto passato sia stata solo la
motivazione per stare insieme, per scambiarsi segni di “formale”
affetto, ma che dentro, nei cuori, ci fosse poco, se non nulla...
Non sappiamo più
fermarci, fare sosta nel nostro vortice di problemi quotidiani, della
nostra esistenza, per are posto all'ascolto, alla curiosità,
all'osservare altro da noi. Per fare silenzio!
Siamo talmente afferrati
alla gola da questo soffrire così diffuso, da questa negatività in
cui siamo immersi da mattina a sera, tramite TV e quant'altro, che ci
sembra quella l'unica realtà e maniera di viverla, che, ogni modo
diverso ed esterno a questa realtà quasi lo scansiamo, o se non
facciamo così, ci rimane estraneo, esterno, distante.
E dopo. Rimane poco, se
non quasi nulla.
E questo addolora, se
vogliamo vederlo, se vogliamo ascoltarci dentro.
Oppure lo liquidiamo con
una alzata di spalle, per reimmergerci nel nostro vortice di
sicurezza, dove sappiamo di stare normalmente e crediamo di stare
bene.
Per morire giorno dopo
giorno, ignari volutamente, ciechi per scelta, come le scimmiette
che non vedono né sentono.....
...eppure contenti di
questo lento morire, di questo diventare polvere nella polvere.
E forse questo è il
senso del mio avvertire un miglior stato d'animo quando rientro a
contatto con la Natura, con la Vita, che a questo punto avverto come
“vera” anche se non me ne viene alcuna parola formale di
consolazione o sostegno, ma da cui mi viene la spinta a cercare
dentro me stesso quel dio o quella entità sovrannaturale che da
molti sento cercare e che non vedo nella vita di quasi nessuno.