lunedì 27 agosto 2012

Dietro


Ho osservato un cane passeggiare fra le siepi della città, annusare alla ricerca di quel che lui solo sa, fra apparente verde, guarnito di cartacce, rifiuti piccoli abbastanza da sfuggire al ribrezzo comune, ma pur sempre abbastanza grandi da rendere la scena desolante.

Ho ripensato al cane che cercava ed odorava nel verde libero della montagna, dove non c'erano siepi, né barriere, ma soprattutto dove non c'era questa costante presenza di rifiuti, umani, ad inquinare non solo l'ambiente, ma la vita, tutto, la vita tutta.

Ho avuto un conato di rifiuto, uno sconvolgimento interiore.


Ho vissuto una serata dove tutto era perfetto: candele nei vetri, per ripararle dal vento, sedie comode ed accoglienti, camerieri gentili e umilmente servili ed efficienti, atmosfera bella, musica di sottofondo, un po' eccessiva, ma costante, per farmi dimenticare e cancellare, per due ore, il desolante quadro da cui ero momentaneamente uscito e che mi aspettava di là dal cancello della villa, di fuori.


Ho ascoltato (presente ed all'apparenza partecipe, eppure spettatore esterno) un discorrere denso e fitto, di tante cose, di argomenti i più variegati, eppure, mai sfiorante, neppure per errore, le ragioni, presunte o vere, del comune stare a disagio, del comune avere difficoltà con l'esistenza quotidiana, del comune lottare quasi, per sopravvivere. Parlare fatto quasi per riempire spazi, teste, animi, e non lasciare alcuno spazio, non permettere al vero disagio, al vero insieme dei problemi di emergere, per esigere di essere affrontati, magari imponendo scelte, decisioni, che si ha terrore di prendere, ma anche di pensare di dover affrontare.

Piacevole all'apparenza, eppure, disperato cercare di “divertire” ognuno se stesso, per poter sopravvivere... in realtà per poter affrontare il rientro in cella, dopo lo spazio di aria individuale....



All'improvviso mi sono accorto...

Mi sono reso conto di percepire, dietro alcuni modi di fare, di essere, dietro certi luoghi addirittura, dietro certe frasi, parole, atteggiamenti, oppure anche avvenimenti, ovvero altri tipi di esternazioni, di percepire dicevo, quello che c'è realmente, dietro la facciata, l'apparenza che è sotto gli occhi di chi osserva solo l'esterno.

Non dico di essere illuminato, né che la mia percezione sia l'unica verità assoluta. Tutt'altro!

Ritengo che la verità assoluta sia solo una chimera inventata, e che ognuno abbia la sua.

Ma io questa oggi sento di avere e con questa sto facendo i conti.

Questo mio percepire il dietro, mi getta in faccia, con violenza, con una certa durezza e brutalità, il vuoto o la pochezza o anche l'aridità.

Non è affatto piacevole.

E' un vedere e vivere immagini o scene di un film che non mi fa affatto sentire, né stare bene.

Ma ci devo fare i conti, ogni giorno di più, in un crescendo che avverto, graduale ed inesorabile, mio malgrado.

Forse è follia, forse il mio personale avvizzimento, forse il frutto dell'età.... non lo so...


Ma questo vivo ora.


giovedì 9 agosto 2012

Questa compagna che mi sono trovata accanto...


Non credo di averla cercata, almeno, non ricordo... No! Credo di essermela trovata accanto fin da quando ero adolescente.

L'ho trovata, mi era normale averla accanto e con lei parlare, ed avere quella confidenza che si ha con una sorella, o una parte di se stessi.
Non è stata mai invadente, mai eccessivamente si è presa spazio o me ne ha tolto. E' sempre stata discreta, in attesa di avere il suo di spazio, il suo di turno.
E quando è stato, o..è possibile, esce fuori, viene a trovarmi, mi fa compagnia.
E parliamo, dialoghiamo oppure mi ascolta, in silenzio, attenta e partecipe del mio parlare, del mio svuotarmi l'animo, del mio raccontarle quel che è accaduto dall'ultima volta.
Mai mi interrompe, mai mi dà consigli non richiesti. Anzi, a dire il vero, non me ne dà mai, di consigli e di pareri, è sempre là, in silenzio, sorridente in modo discreto, forse anche un po' umile, ma anche affettuoso.

Mi è compagna e sorella, amica e parte di me stessa, e ci si conosce come le proprie tasche, come se si fosse vissuti insieme da un'eternità e mai ci si è stancati l'un dell'altra.

Quando ascolto la musica, allora si lascia cullare, si abbandona alla melodia e forse mi è musa ispiratrice, così come quando leggo, specie qualcosa che mi coinvolge. Allora lei, è là, con quei suoi occhi da cerbiatto, innocenti, eppure consapevoli e presenti e maturi; un po' ingenua eppure animo vissuto, mi lascia il suo sentire, mi dona quei pensieri lievi e silenziosi che ben conosco da una vita intera.
Quando mi raccolgo con me stesso si raccoglie anch'ella, in silenzio, direi quasi in clausura, e non si vede, non fa rumore, non disturba, non altera quell'atmosfera che sa essermi essenziale, direi vitale. Eppure è là. Lo so. La sento, sono perfettamente cosciente che lei è là!

E' una vita che conviviamo, che condividiamo ogni istante, seppure ognuno a suo modo, seppure lasciando l'uno all'altra la libertà di essere ciò che è, o ciò che crede di essere... lasciando all'altro, la libertà di imparare in questa lunga strada che non si sa bene e con certezza dove porta e a cosa serva, anche se qualche sentore io ce l'ho.
E' una vita che ci si conosce e ci si rispetta e ci si vuol bene e so che mai ci si lascerà, che per sempre calcheremo i nostri rispettivi passi, ognuno a sua maniera e con la sua velocità, e sempre col massimo rispetto reciproco, eppure insieme!

Chi sa perché sei venuta proprio da me, perché hai scelto me fra milioni; oppure, forse non sono l'unico, forse anzi, sono proprio uno dei tanti, eppure mi hai fatto dono del tuo esserci.
Chi sa. Non c'è risposta a questa domanda senza senso e senza motivo.

Ma posso dire che con te sto bene; sono sato bene e credo che così starò, ormai siamo una coppia, noi, ben salda e ben sperimentata.

Tu, la malinconia, delicata e tenue che vola lieve e silenziosa nella mia vita, ed io, cavaliere del nulla, leone o lupo che dir si voglia, che corre nelle sconfinate praterie del sogno e della fantasia.
Siamo una coppia inossidabile, come si dice, e ...allora, balliamo, buttiamoci nelle danze e facciamo ancora un giro!


sabato 4 agosto 2012

Inverni Lontani di M. Rigoni Stern






Quando presi questo libretto, lo acquistai sotto la spinta della fiducia che l'autore aveva conquistato nel mio cuore per altri scritti famosi e non, e che non so spiegare bene.

Non si tratta della bravura come scrittore, che in superficie si potrebbe individuare come responsabile di questo legame particolare con “il sergente Mario”, bensì di qualcosa di altro e che sta nascosto nei recessi della mia anima e che a ben pensarci non ha spiegazione razionale.
Credo sia qualcosa di strano e che mi lega a lui come a mio padre, forse in lui ho rivisto il mio papà, la guerra fatta non da eroe, ma da uomo, che subisce decisioni di cui non sa bene la ragione, ma che assolve ad un dovere, che così gli si è insegnato; la tranquillità dell'uomo dopo, la pacatezza della maturità, non so... oggi anche un legame verso la terra natia e verso le piccole abitudini ed usanze, di cui Rigoni non ha scritto molto, ma che stanno là, ben chiare, nei suoi scritti, specie quelli in cui descrive i luoghi della sua vita.
Quando acquistai questo libretto (così mi sento di poterlo chiamare, visto che sono “solo” 44 pagine), non ho fatto altro che seguire l'istinto, quell'istinto che non mi ha mai tradito, ad oggi, in 56 anni, nel prendere un libro e decidere di farlo oggetto della mia attenzione.
Lo avevo anche già letto, ma allora era stato un po' per incamerarne un ennesimo, da mettere come tacca, nel mio carniere, arrogante uomo che sono!
Quando ieri l'ho preso dallo scaffale, e deciso di tornare a leggere, anche allora, ho seguito il mio istinto, e questo istinto qualcosa mi voleva far avere e notare: forse adesso ho un po' più di maturità e mi si è data una opportunità ulteriore..

Ho sfogliato le poche pagine, stavolta con attenzione.
La voce del mio amico me le ha descritte, non lette, le ha raccontate, con calma, con la pacatezza che apparteneva a lui, e che ha donato a me, che finalmente, attento e intelligentemente umile, nell'apprendere da altro Essere Umano, gli ho riservato.

Si sono alternate descrizioni brevi come schizzi impressionisti, vedendo inverni lontani anni, nella gioventù dell'uomo allora ragazzo, quando poche e semplici cose rendevano degna una vita assai essenziale; si sono scorsi inverni di fiamme della guerra gelida e crudele nelle piane del Don, come inverni più vicini a noi, sempre nell'Altopiano, dove l'Uomo Mario, ritrovava e coltivava nel silenzio e nella sua tranquilla anzianità, usi che aveva appreso da ragazzo e che si era conservato nella sua vita traversando mari agitati e tempeste che non tutti avrebbero saputo affrontare.
Quest'uomo sopravvissuto a migliaia di km sotto il fuoco dell'avversario, eppure non mostra mai un briciolo di risentimento verso quello che altri definivano “nemico” e che lo avrebbe ucciso, visto che “nemico” e per di più “invasore” era stato anche lui; quest'uomo vede e descrive sempre l'umanità, di gesti, abitudini, riti, atmosfere anche di quotidiana normalità e le fa quasi desiderare a me che le osservo dall'esterno delle sue righe, eppure spettatore non estraneo.
Quest'uomo risveglia ricordi ancestrali in me che ascolto le sue parole. E descrive e fa nascere il desiderio di reimparare tanto, di vivere per apprendere di nuovo, o forse farlo veramente, per la prima volta.
Mi colpisce questo suo descrivere con tranquillità il lavoro: “..è bello lavorare non per accumulare denaro sul conto corrente, ma scorte di legna secca, farina, patate, verdura in composta...., i prodotti che la natura ci dona dalle semine di primavera alle raccolte dell'autunno” e capisco quanto questo Uomo che è noto perché è stato il “Sergente nella neve” sia un Uomo di valore anche e soprattutto per molto altro, nascosto, ma non tanto; questo altro che è alla luce del sole, e che la Vita mi ha donato, in un caldo pomeriggio estivo dell'agosto 2012. 

Ed alla Vita sono ancora una volta grato.