lunedì 15 settembre 2008

Dej vu?


Il lupo è una meravigliosa creatura fatta di anarchia e spirito di gruppo, un essere indipendente, ma in sottile equilibrio con la rigida gerarchia del branco.

……

“Long may you run” che tu possa correre a lungo, fratello lupo!

(C. Grande “Terre alte”)


martedì 9 settembre 2008

Il sergente Mario



Ero venuto per l’Altipiano, per andare a trascorrere giorni selvaggi, per stare con me stesso e con LORO, i soldati che qui son morti, perché sentivo il richiamo, per fare un cammino di ricordi, e sono andato dove viveva lui, il “sergente Mario”.

Ero in un negozio a comprare cartoline: la gente ci tiene ad avere pezzi di carta di dove tu sei stato, magari non li vedrà mai quei posti, ma se ci vai tu e gli mandi pezzi di carta ed immagini di cose che hai visto tu, per loro è come andarci. Gli basta poco alle persone. A me serve toccare, vivere, andare e vedere, non mi basta la foto o la cartolina.

Sto pagando e vedo il suo libro, ma forse era “un” suo libro, non uno importante, per la gente, era importante per me! lo vedo e lo chiedo al commesso. Cerca negli scaffali, ma non trova: è “quello” il mio. Non trova e deve prendere quello della vetrina: era l’ultimo e me lo dà.

Era un libro del “sergente Mario”, è morto quest’inverno, e mi ha lasciato parole scritte in questo libretto.

Parla dell’inverno, dei suoi inverni, dei suoi ricordi di una vita, e parla alla gente che ascolta. Devo dire “ha parlato”, perché ora ha finito di dire quel che doveva, ora sta a chi ha ascoltato far tesoro delle sue parole, dei suoi ricordi, dei pensieri.

Sono poche pagine, mi sembra di aver trovato un vecchio manoscritto prezioso. E’ il mio tesoro nello scrigno. Me lo prendo dalla busta del commesso, me lo tengo nella mano, come fosse una gemma.

E improvviso il desiderio di vedere i posti che mi ha mandato nelle foto. I posti che vedeva dalle finestre della sua casa, per capire, per “sentire”.

Chiedo dove abitasse. Non lo sa il commesso. Forse non vuol dirlo.

Era “il nome” di Asiago, era “lo scrittore” di qui, e forse lo protegge, protegge la sua memoria dai turisti-animali: come non capirlo, farei lo stesso anche io!

Chiedo all’Ente di Soggiorno ed una impiegata giovane, pochi anni più di mia figlia, mi dice che lo sa dove abitava, il sergente Mario, ma non me lo può dire. Me lo dice ridendo, come si dice ai turisti, gli dici “no” e sorridi, così loro, “gli animali”, non si accorgono che li tratti da deficienti; loro “sono” deficienti. Vogliono solo vedere e dire “ci sono stato!”.

Ma a me non importa, io voglio respirare l’aria, voglio sentire ciò che lui sentiva, non mi interessa dirlo agli altri.

Non lei, ma il suo capo, avrà la mia età, capisce, sente che non sono un animale, almeno, non un animale da branco, che sono un lupo solitario e che cerco l’altro lupo che era “il sergente Mario”.

Sa che non andrò a dar fastidio, non andrò a toccare con le mie mani sudice ciò che è sacro perché era vero e puro.

Mi spiega, mi fa capire e quando vede che lo capisco, uno sguardo d’intesa. Sa che non farò del male.

Lo ringrazio e vado.

Contrada Rigoni, fuori dal paese, fuori dal casino. Me l’aveva detto il “sergente” che viveva là, che vedeva i campi e mi aveva mandato foto.

Ci eravamo parlati, per telefono, per lettera.

Gli dissi che assomigliava a mio papà, a quell’uomo che doveva andare con loro, con gli alpini, per portare i camion, e che non andò con la “Torino” in Russia, e per questo forse, si salvò dalla steppa. Ma avevano lo stesso animo, lui, il “sergente Mario” e mio papà, avevano qualcosa in comune che trovavo nei libri di Mario e nei fogli scritti di mio papà, e per questo lo cercai e glielo dissi.

Gli dissi sciocchezze, ma a lui fecero piacere. E mi mandò foto, di quel che vedeva da casa sua. Di quel che era la sua vita di allora. Vita semplice, dove cercava la memoria del passato nelle cose vere del suo presente. Vita fatta di cose vere, di cose forse sciocche a chi oggi corre a cercare benessere nel vuoto, cose stupide fatte di passato, ma che nel suo presente erano ancora molto belle.

E questo mi portava a rivedere mio papà, a riascoltare i suoi discorsi.

Mai tristezza e malinconia. Mai rammarico del passato. Solo il suo valore, la sua eredità nell’oggi, il “non dimenticare”.

Glielo scrissi al “sergente Mario” e lui capì. Ci si capisce sempre quando si tira fuori il proprio animo e si sta a parlare con chi ha orecchio dell’animo pronte ad ascoltare.

Mi scrisse lettere e parole belle. Mi disse che gli avevo fatto piacere e mi mandò foto, mi regalò immagini. Non le avevo nemmeno immaginate quelle zone, quei campi, quell’aria. Dalla foto non avevo idea di cosa fosse. Ora dovevo sentire quell’aria. Non mi importava della sua casa. Vai nella casa di un morto per sublimare quel che non sai immaginare, io non ne avevo bisogno. Io volevo l’aria, quel che intorno casa sua si respirava. Perché forse significa vita anche per me.

L’ho trovata la zona dove stava “il sergente Mario”, l’ho vista ed ho visto i campi. Non c’era nessuno, non c’era clamore. E’ bello ascoltare da soli la voce di un luogo, la ascolti e la interpreti come vuoi, la fai tua.

Non c’era nessuno, era pomeriggio, la gente era al lavoro, forse.

Ho sentito quell’aria. L’ho respirata.

Poi la sera l’ho ritrovata nelle pagine del suo libro, del “mio” libro.

Sono andato via. Avevo trovato quel che cercavo, non lui, il “sergente Mario”, ma forse un pezzetto di me stesso che mancava nel mio animo. Forse una parte della mia anima che s’era spersa nelle montagne dell’Altipiano, o forse un pezzetto dell’anima del mio papà.

La sera, da solo, fra gli alberi, nel silenzio e nell’oscurità che scendeva pian piano, ho letto le parole, ed i racconti della vita del “sergente Mario” ed ho capito. Ora so di cosa parla, ora lo vedo dove stava, ora ho capito.

Nel silenzio ho ringraziato, ho salutato questo uomo che non ho mai incontrato di persona, ma che è come fosse il fratello di mio papà. Non so cosa ci lega, non ne ho idea, ma so che lui mi ha dato qualcosa, che io ho qualcosa in comune con lui. Forse le memorie, forse il desiderio e l’apprezzamento per certi posti, per cose semplici e vere. So che lui ha avuto un peso in me e che non è stato per caso che sono andato da lui, nei “suoi” luoghi.

Ora posso dire che ho fatto quel che dovevo, forse lo dovevo a mio papà, o forse a me stesso. Ma oggi so che qualcosa in me è venuto da quel pomeriggio e da quei luoghi.

Ciao “sergente Mario” riposa con i tuoi compagni della steppa, ora li hai raggiunti, ora siete di nuovo insieme, uniti, compagni veri, fratelli nella vita e nella morte. Ciao amico a cui non ho stretto mai la mano, so che ora tu sei nella mia vita, in qualche angolo. Forse con parole, forse con sentimenti, ma so che ci sei. Sei vicino a mio papà, forse.

Io sono qui, sul mio campo di battaglia, nella mia steppa, e da te ho imparato lo spirito con cui combattere la mia ritirata dal Don: senza odio, ma senza cedere al freddo ed alla fatica. Vivendo ogni istante, ma senza dimenticare i piccoli momenti e le piccole cose.

E ricordando ogni istante come esperienza e non come dolore.

Ciao amico mio!


La “mia” Ortigara



Arrivo dalla “ferrata”, anche se vera ferrata non è, ma è la strada che mi ha portato da qui, o forse l’istinto, o lo spirito dei soldati, chi sa..

Salgo pensando a quei ragazzi: zaino pesante, nemici che ti aspettano ad ogni angolo, paura di morire, e non sai la ragione di questa vita che fai quassù, sull’Altipiano…

Salgo con il fiatone, non sono allenato: è da un anno che le gambe stanno ferme, ma sono “pieno” di questo posto, della sua atmosfera, mi sento pieno dell’Altipiano.

All’improvviso non un tedesco, non un colpo di fucile nel mio petto, non la morte temuta per ore e per giorni, ma un cippo di granito, un semplice pezzo di sasso con delle parole in tedesco, messe lì a ricordare che erano TUTTI ragazzi, di qualunque stirpe essi fossero, e qualunque lingua essi parlassero: bosniaco, veneto, tedesco, sardo, erano giovani che volevano vivere ed erano costretti lì a sopravvivere!

Due voci che parlano, ma quasi sussurrano. In questi posti non si urla, non c’è il turista che viene a vedere il panorama e mangiare polenta e luganeghe pagando con la carta di credito; qui si viene in silenzio, in pellegrinaggio, c’è chi va a vedere dove è apparsa la Madonna, c’è chi va a vedere dove si sono sacrificati giovani di vent’anni, per nulla, per pochi sassi… c’è chi fa entrambe le cose, ma sempre con rispetto.

E qui il rispetto è dovuto!

Uno sguardo con i due, un cenno di saluto, e proseguo, da solo, felice della mia solitudine. Ma non sono solo. Ci sono LORO a farmi compagnia, a guidarmi, a proteggermi: io sono venuto per LORO.

Di fronte, a 100 metri c’è un altro pezzo di sasso, un cippo italiano, con le parole italiane, a ricordare che la morte ha preso tutti, tutte le anime di quei giovani, per un nulla, per la pazzia di gente che nemmeno se l’immaginava cos’era l’Ortigara, per la quale quello era solo un nome su una carta, forse una cima vista da un binocolo, da km di distanza, ma che ha avuto la capacità di mandare a morire, al macello, ragazzi senza colpe, che erano il futuro della Patria, ed invece sono stati usati come oggi usano le vacche, per macellarli, e domani chiamarli eroi: vallo a dire alle mamme, alle morose, ai figli di quegli eroi del nulla!

“Per non dimenticare” c’è scritto su quel cippo messo lì dagli alpini appena pochi anni dopo quel macello. Eppure oggi tutto è dimenticato, e nuovi “eroi” vengono fabbricati da gente che siede comoda in salotti e poltrone, e loro, oggi non per la Patria o per un’abitudine ad ubbidire senza discutere, ma per soldi forse, per la speranza di poter costruire un futuro in qualche maniera, vanno a “fare gli eroi” in altre terre, desolate forse più dell’Ortigara, ma la danza è sempre uguale, vanno a morire per altri, che, vigliacchi, non hanno le palle per morire loro!

Mi siedo, nel vento.

Un vento freddo e senza clamore. Sono contento che non ci siano gli animali-turisti, qui stonerebbero questa musica, questo silenzio carico di memoria, che è una sinfonia.

Mi siedo sui sassi su cui uomini videro la loro vita per svanire, su sassi che furono l’unico riparo per ragazzi che amavano la vita come ora lo fa mia figlia. Siedo fra i sassi e sto in silenzio, osservo, ascolto, vivo questo posto.

Salgono due uomini, sono due di forse 60 anni o forse più. Li seguono tre persone, una famiglia: sono tre, i genitori ed un figlio come erano quelli che qui hanno dato la loro vita.

Arrivano e superano i due “vecchi” negli ultimi metri: sul filo del traguardo. Vincono una gara che non c’è mai stata, ma arrivano primi al cippo.

Non lo guardano nemmeno: “per non dimenticare” dicono le parole sul sasso, ma loro nemmeno vedono, loro vanno dritti oltre, vanno a suonare la campana dell’Ortigara. Hanno bastoncini da trekker, hanno scarponcini puliti, hanno abbigliamento adeguato, hanno fretta!

Loro non dimenticano, loro nemmeno sanno, forse nemmeno pensano, loro hanno vinto, corrono, senza guardare e senza ascoltare.

Passano e nemmeno mi guardano, sasso fra i sassi. Oggetto fra rocce senza vita, per loro…

Sto là, su una pietra a mangiare freselle e bere birra, come forse hanno fatto quelli che morirono qui. Ho capito perché al supermercato ho scelto le freselle: non era per non portare peso, non era per me, era dentro al mio animo che volevo accomunarmi con quei ragazzi. Loro mangiavano pane duro forse.. io per rispetto ho mangiato freselle.

Il vento mi abbraccia e osservo la scena, i due vecchi si fermano davanti alle parole scolpite. In silenzio, si fermano e qualcosa nel loro animo li prende, lo vedo, forse lo “sento”

Li osservo, e poi i loro occhi si posano nei miei: ci intendiamo, ci vogliamo bene in quel momento!

Sono istanti, sono attimi, ma in quei magici flash avverti la vicinanza, avverti qualcosa che ti unisce ad un altro essere umano. Sono resti di quell’istinto che è l’unica cosa che ha un animale per parlare con l’uomo, e che noi abbiamo perso nei secoli.

Ci fissiamo: un gesto anche con loro, nemmeno con la mano, ma con la testa. E poi loro vanno, in camino inverso al mio, verso l’altare sacrificale dei ragazzi di lingua tedesca.

Ed io rimango con LORO.

Mangio altre freselle, bevo la birra che rimane, Il vento mi fa compagnia.

Mi viene di stendermi a terra, mi getto disteso, come hanno fatto in migliaia, per non essere colpiti, per cercare di sopravvivere ore, o forse giorni, prima del momento decisivo.

Sto così, steso, in una buca: alzo gli occhi nel timore del piombo che mi ucciderà, forse un cecchino, un ragazzo come me, che è la per uccidere prima di essere preso.

Non arriva nulla, abbasso gli occhi e vicino al mio naso vedo un pezzo di piombo, una scheggia che sta lì da quasi cent’anni.

Potrebbe essere mia nonna, che mi racconta storie davanti al fuoco, a me bambino che l’ascolto vorace ed attento. Invece è solo un pezzo di piombo che forse ha portato via una vita, o qualcos’altro ad un vivo.

La osservo e le parlo, la ringrazio di farmi pensare e non togliermi la vita. Mi alzo e me la prendo, il mio ricordo dell’Ortigara!

Rimetto nello zaino i miei resti: la lattina e la carta delle freselle, le briciole le lascio, a qualche animale che verrà quando noi umani avremo tolto la nostra presenza, come avviene da secoli, anche prima della Guerra. Come è avvenuto dopo quel macello: loro, gli animali sono i veri custodi di questi luoghi.

Tornano indietro i “corridori”, sempre a passo spedito, sempre le bacchette da trekker, sempre la meta da raggiungere, sempre come prima, davanti al cippo uno sguardo, stavolta gli occhi sfiorano il cippo, ma poi tornano nei ranghi: forse sono bersaglieri, forse hanno da correre a conquistare l’altra cima, a cacciare il nemico dall’Ortigara.

Passano, proseguono e nemmeno sanno cosa non si deve dimenticare.

Scendo, lento, fra i sassi, passo nelle difese degli austriaci, quelle che hanno falciato 28.000 italiani; passo e sento il saluto di quelli che attendono la morte, moderni gladiatori, in lotta per sassi e gloria, gloria che non gli darà la gioia di vivere, nemmeno gli ha dato quella di morire, perché a vent’anni voglio sapere chi potrebbe desiderare la morte.

Mi allontano e scendo lento, e LORO mi salutano. Li ringrazio, in silenzio li tengo nel mio cuore.

Mi fermo, al baito, mi volgo indietro ed osservo la distesa di sassi da lontano, osservo quel deserto verde e grigio, questa è l’Ortigara!

Quando passo davanti al rifugio, in una piccola camera-ossario trovo resti di oggetti appartenuti a gente che qui è rimasta, forse senza una tomba; sono resti di ogni tipo, scarpe, scatolette, cinghie, schegge di bombe. Lascio la mia scheggia, non la porto con me, non la levo a questo monte: l’Ortigara mi ha dato qualcosa ed io non devo toglierle nulla. Metto lì quel pezzetto di piombo, in mezzo ad altri, anonimo fra anonimi, milite ignoto di piombo: in silenzio prego per LORO, mi sento sereno e torno alla mia auto, alla mia civiltà, ma so che LORO sono qui e che li posso tornare a trovare quando voglio.

Tornerò ragazzi!




sabato 30 agosto 2008



Al mattino d’autunno quando esci dalla casa, il fresco è quasi freddo e ti entra nelle ossa anche se sei coperto bene, ma ti piace. Quell’aria leggermente tagliente, ma non come d’inverno, ti sveglia e ti mostra luci e forme che d’estate con il caldo non hai visto, neppure immaginato, forse!


La rugiada è come sempre sui fili d’erba e come sempre forma mille diamanti che splendono alla luce del sole pigro della mattina; così come gli scoiattoli che scendono ancora insonnoliti dagli alberi a cercare cibo e che sono molto più “domestici” che durante il giorno, così come gli uccelli che quasi avvertono la stagione che volge al termine e cantano le ultime loro melodie con passione, ma con un po’ di malinconia.


Ti incammini nel sentiero dove aghi di pino ti fanno da tappeto, sono gli aghi dell’estate e le pigne cadute perché secche di caldo, ma un’aria diversa gira intorno a te e tu la percepisci, forse ignaro, anche se ti senti diverso e non sai perché.


Il rosa delle rocce dei Monti Pallidi, in alto, fa da specchio al tuo cuore che si sente come inondato di pace. Il clamore dei vacanzieri rozzi e ciechi è cessato e solo cuori sensibili percorrono ora le strade fra gli alberi nascoste alla superficie.


Il torrente scende, come durante tutto l’anno, ma l’acqua è più fresca, quasi fredda, come si preparasse al lungo ghiaccio dell’inverno, eppure sempre lo stesso rumore si ascolta se si fa silenzio, un rumore semplice, un fruscio di pace, un sentimento di tranquilla normalità, perché la Natura non ha bisogno di complicazioni per essere divina.


Mi avvio e mi fermo, devio dalla strada e raccolgo sassi o pigne strane, osservo luci che filtrano ed annuso l’aria, mi riempio di questo, di questo TUTTO che mi circonda e capisco sempre più cosa significa essere in contatto con il divino… che è in me!


E per questo, per TUTTO questo, sono GRATO!




martedì 5 agosto 2008

Dopo il giorno la notte


Ma tornerà la luce.. prima o poi.....

Perchè dopo ogni notte torna sempre un nuovo mattino....

Ed aspetto.. con speranza!...


domenica 3 agosto 2008

Il Lupo del Grande Nord


Sono un lupo solitario,

corro fra alberi e spazi sconfinati,

corro cantando alla mia libertà

e sognando il Grande Lupo Bianco.


Alle volte mi chiudo nella mia tana,

mi lecco le ferite,

fisso la Dea Luna

e canto a lei, un canto muto, ma intenso.


Esco al buio della notte,

ascolto le civette che sono a caccia

ed il canto del Silenzio

e con quello cullo la mia anima.


Al sole corro nel vento

E corro coi compagni nel branco

Inseguendo il sogno

E carezzando la vita con il mio pelo chiaro


Vivo la mia vita

Fra monti e boschi,

dissentandomi alle fonti

e mangiando bacche fra le spine.


Amo la vita e la mia libertà

Ma della libertà non posso fare a meno

Della vita nemmeno

Sono un lupo solitario

Vivo così e così morirò




sabato 2 agosto 2008

Davanti al mio Gohonzon


Stamane ho recitato daimoku e quindi Gongyo, come tutti i giorni, ornmai da tempo, ma oggi è stato un giorno diverso.


Mi ero riproposto di fare un certo periodo di daimoku, per cercare di pregare di più, vorrei fare di più, ma… mentre recitavo, all’improvviso, da dentro me.. perché ero davanti al mio Gohonzon che anche se non fisicamente, nella mia mente era davanti a me, e come non essere di fronte a se stessi?... mentre recitavo, ad occhi chiusi, così senza un vero motivo, all’improvviso, dal mio profondo, sono sgorgate lacrime, prima appena accennate, trattenute, dalla mia parte razionale (presumo!), poi sempre più dirompenti, fino a quasi impedirmi di recitare, fino ad avere quello che nei racconti descrivono come un “groppo in gola” e che forse io non avevo mai provato e che ora ho conosciuto.


Ho avuto quasi difficoltà a recitare per un momento!


Le lacrime, ad occhi chiusi, sgorgavano, da dentro, da un vaso nascosto che forse non volevo nemmeno vedere.. ma sgorgavano e nel momento di massima difficoltà e pena interiore, mi sono riuscito ad “aggrappare” al Gohonzon ed al daimoku, recitando con difficoltà, ma pian piano con forse, con la forza della disperazione con cui timoniere della mia barca, mi tenevo aggrappato al timone, nella tempesta… e.. pian piano, la mia voce ha riacquistato stabilità, non fierezza, stabilità, forza, sicurezza di farcela, sicurezza della propria possibilità!


E credo di avere recitato forse per oltre 40’, ma non mi interessa più saperlo.


Ho fatto un Gongyo bellissimo, con me stesso, pregando con il cuore in mano per me e per coloro che ho attorno e finalmente intuendo cosa è questa fede, cosa è Amore, e forse qualcosa di più sulla Vita.


Intuizione? Buddità? Autosuggestione? Non so, ma ora sono molto sereno dentro, un passo oltre il prima, conscio delle mie pene, dei miei ostacoli, dei miei “draghi”, ma un passo oltre.. e so, sento che c’è un traguardo che vale la pena rincorrere e dove posso arrivare.. o un viaggio che si fa meno penoso… non solo per me, ma anche per tutti coloro che ho attorno e che amo da dentro me stesso, anche se forse, alcuni di loro, non sanno quanto e non crederebbero a queste mie parole, che forse non leggeranno mai.


Pregherò, sarò quel che devo essere, cercando di dare sempre il massimo di me.. e come diceva Madre Teresa: “Fallo lo stesso!”, lo farò e basta!

Ora però, so veramente cosa significa avere fede e averla dentro!



GRAZIE!






Di nuovo in sella


Riprendo la mia spada, la lancia e lo scudo, monto sul mio cavallo e riprendo il “mio viaggio”…

Mi aspettano alcuni “draghi” ed alcuni “cattivi” da affrontare e superare, per poter arrivare, spero, al mio Avalon.

Ho fatto una pausa del tipo “Ozii di Capua”, ma ora ho da rimettermi in sella e riprendere il cammino, al troppo, al passo, al galoppo, come sarà possibile.

Molte battaglie ho combattuto, molti duelli. Molti Paesi ho visto e molte genti ho conosciuto, ma ora forse, arriva la fase finale, quella non necessariamente più cruenta, ma quella senza la quale non arrivo nemmeno a intravedere Avalon.

E sarò solo, come ovvio e come sempre!

Non lo dico né con rammarico, né con gioia, ma so bene, so che è giusto così che sarò solo, che “devo” essere solo!

I propri draghi si affrontano da soli, dentro di noi, e la forza “deve” scaturire da dentro noi stessi, l’esperienza del dopo duello deve essere quella che ci rende forti, consapevoli del nostro potere, consapevoli del nostro riuscire a sopravvivere e continuare un viaggio, senza fine, verso questo mio Avalon che non è un posto, ma uno stato mentale e spirituale.

Mi rimetto in sella, ma so che non ci sarà alcuna gloria e nessun canto epico a cantare le mie gesta che tali non sono, sono le normali battaglie che prima o poi, vita dopo vita, spettano ad un Essere Umano, ed ora è giunto il momento che io mi misuri in questo.

Forse un domani, forse quando ancora in vita o forse dopo, o forse mai.. qualcuno ricorderà qualche episodio, qualche mia parola, ma nulla più, perché non si combatte per la gloria davanti agli altri, bensì per la Vita nostra, per essere degni di viverla con la dignità che ci si addice, con la serenità che ci consentirà, un domani, di passare lo Stige e presentarci fieri del nostro Essere Umani.

O forse sarò solo io stesso a cantare, per me stesso, alle stelle ed al sole, le mie semplici e gloriose gesta di vita, di lotta e di vittoria, perché “vincere o perdere” è il motto che ho sposato!


“Alè cavallo! In marcia!” ……


giovedì 31 luglio 2008

Morte o risveglio...?


Son qui alla riva del lago,

la nebbia avvolge tutto, ma non fa paura,

il silenzio ammanta di pace questo posto,

solo gli animali, delicati, cantano il loro inno.


Scendo da cavallo e poso le armi,

qui non servono armi,

mi avvicino all’acqua e bevo,

disseto il corpo, avverto la sete dell’anima, dentro me.


Mi aggiro ed esploro, ma non avverto pericoli,

è strano per me abituato a mille battaglie,

abituato a mostrare coraggio,

sedermi in pace, nel silenzio, nel nulla.


Il cavallo si allontana e cerca la sua pace,

il bosco mi osserva tranquillo e fresco,

il sole mi ravviva i capelli sulla fronte,

ma senza essere violento.


Mi siedo e finalmente ascolto questo silenzio attorno a me.

Avverto la stanchezza nelle membra e nella testa.

Avverto la fatica di essere giunto, superando mille prove.

Sento che posso gettare le armi.


Non voglio morire, ma le getto perché qui non mi servono più,

il castello che mi osserva dal lago

non mette paura, anzi invita a giacere in pace

ed io mi abbandono a questa sensazione.


Scoiattoli si rincorrono, arrivano a poco da me,

una volpe salta qui e là inseguendo fantasmi di piccole prede,

uccellini volteggiano e cantano felici,

qualche pesce fa capolino da cerchi nell’acqua.


Pace! Questo mi sta dicendo il castello.

E d’improvviso ricordo:

battaglie, morte, ferite e sangue.

Odio, rabbia, assalti e fughe precipitose.


Mi sembra tutto un’altra vita fa.

Mi sembra come aver vissuto un sogno.

E sento l’improvviso abbandono delle mie membra

Avverto come un torpore a cui non avevo mai dato attenzione.


MI stendo nell’erba e l’umido mi rinfresca le ossa,

il sole mi copre dandomi affetto e rimboccando la coperta del suo tepore,

il cielo azzurro mi chiude gli occhi dicendomi “Dormi mio caro!”

Non avverto neppure il sonno, e forse sonno non è.


Una luce mi stordisce e mi abbaglia

Cerco di aprire gli occhi ma non riesco a vedere bene

Una voce mi chiama da aldilà

Una voce dolce ed amorosa


Sento l’amore, sento la pace che mi avvolgono,

il viaggio è finito ora posso riposare per sempre

ora ho finito di combattere battaglie e guerre senza fine

e senza motivo, che dureranno anche dopo me.


“Buon giorno amore mio”

La mamma mi sorride mentre apre bene le persine della mia stanza

Il suo sorriso mi illumina il giorno come sempre nella mia vita

“Buon giorno mamma!”


Sereno mi alzo dal mio letto,

e la abbraccio rispondendo al suo bacio,

ed al suo fresco sorriso.

Mi alzo e lascio le lenzuola con il segno del mio corpo.

Vado verso la finestra e mi faccio abbracciare ancora dal sole.

Lo guardo, provo a farlo, ma gli occhi non si possono aprire: troppa luce!

E felice esco all’aria aperta del nuovo giorno.




mercoledì 30 luglio 2008

Piccolo gesto




Piccolo gesto è carezzare un viso e sorridere godendosi la sensazione della mano

Piccolo gesto è sussurrare una parola di serenità alla propria bambina.

Un piccolo gesto è regalare il sorriso ed una parola al commesso alla cassa,

come gustare il sapore di un buon bicchiere di vino dopo una faticata


Piccolo gesto è rallegrarsi del pranzo che prepari

ed osservare chi ami che assapora felice ciò che hai preparato

Un piccolo gesto è rassettare le coperte a lei che dorme

E poi darle un bacio sulla schiena e sussurrarle “Buona notte!”

Piccolo gesto è godere del suo sorriso felice


Piccolo gesto è dare un po’ del tuo cibo al cane che aspetta in silenzio,

ma anche gettare molliche ai passeri ed a i piccioni

E’ un piccolo gesto donare una battuta e far sorridere chi lavora duro,

come augurare “Buona giornata!” a chi ti ha servito


Tanti piccoli gesti fanno parte della mia vita

Un piccolo gesto è respirare e gustare l’aria che mi nutre,

ma anche assaporare il fresco della fonte

come far scorrere l’acqua della doccia sul mio corpo


Solo piccoli gesti fanno la mia vita

Tanti piccoli gesti danno valore alla mia vita

Solo piccoli gesti fanno la mia serenità

E i piccoli gesti son fortunato perché li sento e li apprezzo.

Sono fortunato perché la vita mi ha fatto così

Se ero un sasso forse non avrei conosciuto tanti piccoli gesti

Chi sa….





Al cane..


Sarà che sto attraversando un periodo di sensibilità emotivo.. sarà che altro.. non so, ma stamattina mi ha colpito il tuo sguardo: eri muta, silenziosa, anche un pochino umile forse, ma non troppo, ma silenziosamente in attesa, e silenziosamente mi fissavi con quei tuoi occhi che parlano più di tante parole.. Mi fissavi, facevo colazione, aspettavi.


Tante volte preparo il cibo, tante volte mangio e.. c’è sempre qualcosa per te, forse per quel tuo muto chiedere senza essere invadente, per quel tuo aspettare con umiltà paziente, ma mai senza dignità: trovo sempre due tre bocconcini da darti e con vero piacere notare quanto li gusti, quanto sei ghiotta.. di tutto!


Mi sono soffermato a fissarti, cercare di “vedere” dietro quegli occhi scuri che mi fissavano, e tu silenziosa, impaziente ma silenziosa, tranquilla, ma che trasudavi impazienza ed emozione non so se per il cibo, per l’attenzione che viene da un umano, o per altro.. Mi sono soffermato e mi ha colpito qualcosa che non so spiegare, ma che nel tuo sguardo c’era… e ti ho amata… non come si ama una donna, ma amata veramente, ho sentito trasporto, emozione, ho avuto voglia di abbracciarti… Come mio solito (mi dicono che sono un rospo!), mi sono fermato, mi sono bloccato e non ho esteriorizzato quel che avevo dentro.. ma forse tu, dall’alto della tua capacità di percepire, con istinto, quel che uno prova.. hai sentito e.. lo spero proprio, me lo auguro, perché sono stato uno sciocco, un cretino travestito da maschio che non si concede alle “mollezze” dei sentimenti..


Ora ripenso a te, al tuo sguardo, al tuo modo di essere, forse dovuto a mille soprusi e sgarbi che hai subito, da umani ed animali, in gabbia e fuori, in strada, ma certo un bel modo di essere, tranquillo, forse anche un po’ malinconico, ma pieno di vita e di sentimento, di gioia pura ed innocente per pochissimo, per un gioco di plastica che fischia come di una corsa di 100 m in un prato, per uno scherzo che io ti faccio tirandoti la coda, come per una carezza fatta sul tuo musetto così bello e pulito.


Non ti invidio, non saprò mai cosa hai passato, ma certo hai passato due anni di pensa e valgono venti dei miei… ma ti voglio bene, e imparo da te a gustare del presente, dell’istante che viviamo, del momento che ci pervade e ci accarezza… e tu hai questo potere, questa saggezza.. e te ne sono grato!




martedì 29 luglio 2008

Ti porto al mare...


Ti osservo,

muto, in silenzio,

e sorrido ai tuoi occhi felici.


Corri, cerchi il mio abbraccio,

cerchi la sicurezza e l’amore,

mi salti in braccio.


Andiamo verso il mare,

hai fiducia, ti senti sicura,

darei la vita per te, quale porto è migliore?


L’acqua del mare ci accarezza,

il sole ci avvolge caldo ed amico,

ridi e gioisci felice, lo gridi al vento.


Che grande regalo ho avuto!

Che unica fortuna mi è accaduta!

Che dono immenso ed inaspettato!


Non avrei mai saputo che sarebbe stato così

Non avrei mai immaginato tale emozione

Non c’è scritto in alcun libro


Quanto sprechiamo della vita!

Quanto non capiamo i momenti che viviamo!

Quanto cerchiamo rifugio nel passato o nel futuro!


Quanto ho gettato di tutto questo

Ed ora non so riacciuffarlo

Quanta stupidità!


Prego quel Dio che non conosco

Di darmi tempo per imparare

A tornare su una strada che ho perso da anni


Prego quel Dio di darmi forza

Per parlare e chiedere perdono

Per cercare nei tuoi occhi un segno


Non so se riuscirò

Non so se avrò forza

Non so se avrò tempo


Ma le mie parole rimarranno

E testimonieranno il mio amore

Canteranno la mia anima che era per te… Per sempre!