mercoledì 25 giugno 2008

Centro di gravità.. amori

Mentre facevo il consueto giro serale con il mio cane, camminando ed osservando in terra mi è andato lo sguardo, su un marciapiede, su di una scritta fatta con pennarello nero, di quelli indelebili, (quelli per scarabocchiare sui muri, per intenderci) che recitava questa frase:




“Il centro di gravità di tutti i nostri giorni in due anni”



L’ho anche fotografata con il cellulare, tanto mi ha colpito e mi ha riportato indietro a certi anni ormai andati, ai miei amori giovanili, alla strada fatta per tornare a casa tutti i giorni da scuola, alle compagne di classe accompagnate fin sotto casa, ai sogni ed alle illusioni, alle speranze, agli struggimenti di allora, di quel periodo strano e nel contempo bello.

La vita si ripete, in certi corsi e ricorsi, e qualcosa di simile la sto vedendo accadere tramite gli occhi della figlia, che si sta andando a trovare proprio nell’età giusta: osservo quanto tutto è realmente relativo, tutto è realmente un battito d’ali che ti accorgi essere passato in men che non si dica.

Mentre lo vivi, tutto appare di una importanza assoluta, e lo è, è realmente di vitale importanza per noi stessi ed assorbe energie, gioie e dolori, come rabbia ed euforia. Ma dopo anni appare teneramente dolce, morbidamente romantico, ma del tutto comune, passato, trascorso, e sostituito da nuove passioni e struggimenti.

Quella frase apparentemente senza senso, per un osservatore superficiale, racchiude sentimenti di amore, un voler lasciare un segno, la necessità di un segno di amore, forse ingenuo e sciocco, ma che per i protagonisti ha una sua impellenza, tant’è che scrivono “centro di gravità”. A me che leggo, riporta alle parole della canzone di Battiato, e capisco bene il senso, o credo di capire.. e dentro me sorrido con tenerezza, il cuore mi si stinge di una benevola malinconia, nel pensare alla bellezza di questi amori, puri ed ingenui per quel che sono, in cui ci si getta a capofitto, senza sapere nemmeno cosa si fa, senza pensare a cosa si va incontro, ma vivendoli con tutti se stessi. Non si è ancora inquinati da ragionamenti utilitaristi che seppure involontariamente facciamo quando entriamo nella fase della “maturità”.. non si è ancora ingrigiti da routine o da secondi fini ben delineati quando andiamo “al rimorchio” con secondi fini ben chiari… invece, si è involontariamente sciocchi, ingenuamente scemi, ed in quel modo si è belli, teneri, dolci, abbastanza puri almeno nelle reazioni.

Gli autori di quella frase ormai, forse, staranno divertendosi in qualche luogo di vacanza ed avranno anche dimenticato la frase scritta.

Oppure staranno soffrendo per il legame reciso, oppure ancora, dei due, uno starà facendo qualcosa senza neppure più pensare alle parole che si stingono sul travertino del marciapiede, e l’altro o l’altra forse, starà soffrendo nel suo cuore, proprio per quella mancanza, per quel centro di gravità perduta.


L’amore è così, la vita è così: impermanenza costante..




Lacrime


Avrei voluto poter essere tuo

ma oggi il mio orizzonte è buio!

Avrei voluto da te essere preso

ma ormai mi sto arrendendo.

La speranza sta sparendo nella sera.

Mi rimane solo un sogno

non ho cosa stringere nelle mani,

le osservo: sono vuote, noto le gocce delle mie lacrime.

Aspetto, prego, non posso fare altro,

scontrarmi contro una montagna non riesco,

la montagna non scende a patti e sto soccombendo.




martedì 17 giugno 2008


Oggi soffia, è vento da Ovest, soffia forte, ma non è freddo. Siamo a metà giugno e non fa freddo, quasi estate! Soffia da ieri sera, stamani c’era il sole, stamani era una giornata che mi affascinava, oggi pomeriggio mi ha stregato.

Il rumore è costante, il mare, la risacca, il vento. Mi soffia in faccia ed io me lo prendo tutto, sto lì sul terrazzo, ad occhi chiusi a sentirne la voce. E’ una voce forte, un urlo delicato, ma si sente bene.

Mi piace farmi inondare la pelle, mi piace assorbirne ogni particella, mi piace farmi inebriare l’animo e la mente, mi piace perdermi nel vento.

Vedo in lontananza il mare con la schiuma, sbuffi bianchi che sorgono dal nulla, sbaffi di fumo che esplodono improvvisi, vedo il grigio delle onde, grigio che riflette il cielo o il cielo è grigio perché tale è il mare! Mi perdo, mi perdo la mente in queste fantasie. I gabbiani giocano, non hanno paura, giocano sempre, forse gli animali hanno una cosa che gli umani non hanno, il piacere del gioco, noi siamo tutti d’un pezzo, presi dalle preoccupazioni, dalla forma, dall’apparenza, dal dovere, dal senso di lealtà: loro sono presi dalla loro animalità, ed ogni tanto ci battono, 2-0 per gli animali.

Ora però vinco io, ora sono un gabbiano che gioca nel vento: salgo, salgo alto e vado contro le folate, ho la capacità e poi mi abbandono, mi lascio precipitare come un sasso, dirigendomi vero il mare. Ricordo Jonathan quando faceva questi giochi, forse li ho imparati da lui.. Ora però è la mia volta.

Un soffio mi scuote, più forte degli altri, la maglietta si alza, il freddo colpisce la pancia, non è freddo, è qualcosa di diverso, ma lo sento! Ma lascio che mi avvolga, lascio che sia lui a prendere il mio corpo ed io a gustarne il tocco.

Come una donna che mi accarezza, la sua mano leggera, le unghie improvvise sulla pelle, i graffi, la presa secca, dura, ma densa di passione. Ed io che mi abbandono alle sensazioni, alla passione, al “sentire” quello che poche volte faccio nella vita.

MI prende dietro al collo, mi accarezza, la mano nei capelli, li arruffa, li carezza, lieve, li afferra, li tira. Sento i denti, il tocco della bocca, sento che afferra violenta, ma dolce, amorevole ma prepotente.

Sento l’aria nelle gambe, sento che mi avviluppa e mi carezza. Sento questo vento che è così diverso da quello a cui sono abituato, dai monti, alla sera nei monti, quando le cime degli abeti si scuotono e lui torna a casa, per la notte.

Qui è differente, è un vento caldo, non secco, qui non viene a dormire, ma viene perché vuole stare qui, oggi, ora, adesso in questo istante, e non intende ragioni. Qui porta con sé ricordi dell’isola lontana, porta odori delle case della baia, porta oggetti trascinati a forza nel suo ventre, porta cose, porta a me qualcosa che non conosco.

Mi abbandono al suo sentire, mi abbandono a lui, a cercare di indovinare il perché di questo istante, il perché di questi pensieri. Mi avviluppo su me stesso, come lui fa attorno alle palme che vedo qui di fronte.

Lascio che la vita mi viva, che mi faccia essere me stesso e non mi chiedo più alcun perché, non serve, non ha alcun senso. Ora vivo.

Ogni istante, mi accorgo che capisco qualcosa di nuovo, che faccio dei piccoli passi dentro me stesso. Ogni istante è come un gradino che salgo e vedo un panorama differente e questo mi piace, mi fa sentire orgoglioso, di averne la forza. Sta a me salire, lo so, ed alle volte mi rifiuto, alle volte ne ho paura. Ma poi mi riprendo, mi risveglio e salgo ancora ed ho qualcosa di differente a cui pensare a cui dare attenzione, da imparare.

Ho bravi maestri, ho una bella scuola, ho anche me stesso a cui devo dire grazie. Il vento è un maestro, o forse è uno strumento, ma ora il vento mi parla, ora mi sta insegnando. Forse non so bene cosa, forse non mi rendo ben conto, ma intuisco che mi sta indottrinando, di cose belle..

Non ho mai vissuto così intensamente momenti come questo. Forse sono decenni che non ne vivo. Ricordo Capri, Damecuta, un pomeriggio simile, iris selvatici di un blu da togliere il fiato, ricordo il vento, la solitudine, noi tre soli. Mia madre aveva paura, aveva paura sempre, mio padre no, era un incosciente forse.. ma forse voleva solo “sentire” come ora faccio io, solo che noi non lo capivamo. Lui avvertiva quella voce, lui “ascoltava” il vento quel pomeriggio, ma noi, mia mamma ed io non ascoltavamo che la paura, io quella della mamma, io piccolo non avvertivo nulla, io ero con lei, ero contro mio padre. Eppure qualcosa il vento mi disse anche allora, perché oggi me lo sta ripetendo e la mente ritorna. Qualcosa è rimasto nella testa di quella lezione studiata di corsa, forse troppo, forse in anticipo sui tempi. Io non ero contro mio padre allora, lo capisco ora, ne avevo solo timore, lui forse non riusciva a farmi capire, forse non ne sentiva il bisogno, io cercavo solo protezione, sotto l’ala della mamma..

Però allora anche sentii qualcosa, avvertii qualcosa e ora lo ricordo, nella memoria del cuore. Oggi forse ne sono cosciente e grato, oggi vivo questo vento, questa natura che capisco amica, sorella, mamma.. di cui mi sento parte viva.

Volgo lo sguardo alle coline, il grigio è più scuro, l’acqua nelle nuvole è carica, pronta a scendere, ma a me piace, sorrido, sono felice, sono entusiasta e sento qualcosa che c’è… avverto .. forse Dio, forse la Vita… respiro, apro i polmoni e continuo a sorridere al temporale che viene.





Sono andato al mare stamattina presto. Lara ha iniziato dalle 5 a leccarmi la mano, come a dire :”Alzati, dai, vedi che è giorno!” ed io l’ho scacciata prima, scontroso ed assonnato, poi ancora intorpidito nel corpo e nella mente, ma felice di vedere la luce ancora una volta.


Il rumore della risacca è forte qui, la casa dista forse 500 m e dalla finestra aperta il rumore giunge vivo e vero nella mia vita. La notte al buio, come al sole del mattino. Un rumore costante, intervallato da qualche gabbiano, qualche treno che scorre sulle rotaie dietro me, intervallato da qualche disturbo di umano, ma il mare giunge sempre, una presenza costante.

Ieri sera la luna, era piena, illuminava la sua strada verso me, un cammino di luce, un viale d’argento, che passando tra due palme, arrivava giusto sul mio terrazzo. Mi sono fermato ad ascoltarne il sussurro. Il rumore della schiuma sui frangiflutti, e dietro il sussurro della luna.

Ora, al mattino, il sussurro non c’è più: un’ombra ancora mi mostra dov’era lei, la luna. Ma lei, è sparita, persa in altri lidi lontani, a far fantasticare altri animi, a dare serenità ad altri umani ed animali. Al suo posto i raggi del sole. Fendono l’aria caldi già ora, già nelle fresche ore del giorno che arriva. Ed allora prendo Lara, sorridendo andiamo verso la vita, verso la natura, verso la nostra libertà.

Sono sceso al porto, era silenzio, poche persone al bar, pochi caffè per svegliarsi ed iniziare a vedere lucido nella vita. Pochi uomini soli, stanchi di una notte forse di gloria, forse stanchi di lavoro, poche voci, parole senza grandi significati, ma umanità vera, sincera. I, caffè a quell’ora ed in quei posti è come fosse migliore, come fosse tostato diversamente e lo assaporo, lo gusto sorso a sorso, ringrazio dal cuore: “Era buono!”.

Quante volte l’avventore se lo sentirà dire, quanto crederà a quelle semplici parole, ma io gliele dico dal cuore, le mie parole vengono dal profondo e sono vere, sinceramente vere! Ma vaglielo a dire a lui!

Esco sul piazzale, le barche ondeggiano ancora addormentate. Il porto è bello, piccolo, intimo, lo tocchi con un braccio, e fuor, oltre il molo frangiflutti, vedi la schiuma, vedi le onde che esplodono di bianco, vedi la vita sempre attiva, del mare, che non dome mai. Qui Sembra un altro mondo. Un uomo scende dalla sua barca a vela, ha le membra stanche, ma il viso fiero, la pelle ambrata, il maglione di chi non bada alla moda, ma al corpo suo. Scende lento dalla passerella, è sicuro nel suo passo. Lo osservo, Lara è intenta a cercare per terra i suoi tesori e le sue scoperte. A lei non importano le meraviglie del suo padrone, a lei conta solo quel che serve per vivere. Non è una poverina, lei, un animale, lei gode del semplice, sono io che sono complicato e cerco le architetture della vita, non mi basta vivere, non ascoltare le cose vive. A me serve la complicazione, per convincermi che sono un uomo, che ho qualcosa… lei vede un mosca e l’insegue, una foglie ed è sua compagna di giochi, odora dove altri ha depositato il suo, e per lei quell’odore è un intimo saper di casa, come per me quello di legna di camino. Solo che lei quell’intimo lo trova per strada anche sull’asfalto, io lo devo andare a cercare chi sa dove!

Per un istante invidio il cane: “beati i semplici di spirito!

Passeggio e mi siedo su una panchina. Guarda verso il molto, e le barche che non sanno nemmeno della mia esistenza. Passerò e dopo, saranno felici come prima, cullandosi nel mare verde, come se io non fossi mai esistito. Mi siedo e mi lascio avvolgere dal sole, dal suo crescere con il giorno, dal suo ridere di calore, e lascio che mi avvolga, benigno e sincero.

Un signore, avrà 70 anni forse, passa, ci siamo incrociati prima, senza uno sguardo, senza un gesto, eppure mi è simpatico, forse perché è silenzioso, come me. Non ha un cane, ha un sacco, ha un ricordo sul viso. Il signore passa, va a sedersi all’altra panchina. Non ci incrociamo neppure ora, ora anzi lui neppure guarda Lara che gioca a terra con il suo guinzaglio. In genere la gente si perde dietro un cucciolo, dietro all’ingenuo giocare con ogni cosa che ha un cucciolo. Questo qui non degna di attenzione il mio cane. Ma non mi offende, so che lui ha altro nell’animo, lo sento, lo vedo e lo rispetto.

Si va a sedere ed osserva, dove osservo io, ma lui cerca altro. Non saprò mai cosa, non ci vedremo mai più, credo!

Continuo il giro, mi alzo, ho ansia di vedere, di conoscere il posto nuovo, son qui da ieri e non lo conosco, quando arrivo devo conoscere, devo prendere coscienza, devo “prendere possesso”, come un cane umano, del territorio. Allora vado verso il molo esterno. Vedo la schiuma che esplode dietro, vedo schizzi che saltano il cemento e voglio andare a sentirli, a sentire ,l’odore del mare.

Mi trascino Lara a cui non frega nulla delle mie fantasie e che lascia odori e curiosità alla panchina.

Mi dirigo al molto esterno ed ascolto il mare, quello vero, che romba, da ieri, da sempre, senza stancarsi mai.

Non è vero che il mare non si stanca: alle volte si addormenta e se ne sta tranquillo, anche se tu gli rompi di tutto. Alle volte non ti vede neppure e si raccoglie nel suo seno, senza nemmeno darti l’idea di essere lui, il Mare! Ma oggi è vivo, sta correndo, sta giocando, ora sta gridando la sua vita a noi, umani che non ce ne accorgiamo. Ed io vado ad ascoltarlo.

I massi di granito rosa sono fradici e la schiuma si intrufola fra loro, lavandoli e sciacquando ogni volta come fa da anni. Un gabbiano indugia dondolandosi nell’aria, e precipitando fin verso l’acqua, ma poi risollevandosi magicamente. Come farà non so! Una barca è ancorata fuori, chi sa, forse non ha trovato posto in rada, e i suoi padroni dentro, ballano un bel po’, ma li invidio, loro hanno quella libertà: di decidere dove dormire e quando farlo, io devo rintanarmi nel cemento, tutte le sere.. se no starei solo sotto le stelle e non so farlo!

Vedo un posto che devo esplorare, una terrazza, uno slargo. Ci corro con Lara, ci vedo una signora, sola, che ascolta, che sta là a fare non so cosa. E’ uno spiazzo, enorme, c’è una cornice di legno che evita agli imbecilli di andare ad ammazzarsi sugli scogli, e permette a chi ha voglia di appoggiarsi ed osservare ed ascoltare.

Saranno oltre cento metri, Lara corre, gioca, non dà fastidio né a me né alla signora. Siamo lontani, lei non si avvede di noi. Io mi chiedo cosa stia pensando. E’ anziana, forse pensa al suicidio, forse qui veniva con il suo amore che ora non c’è.. forse solo ascolta il mare, il suo urlare, non so e non lo voglio sapere.

Mi appoggio alla cornice di legno, mi appoggio ed osservo la schiuma. Continua con incessante foga e pervicacia a fare sempre quel ballo e non trova mai stanchezza. Io avrei lasciato da tempo, ma io non sono il Mare.

Mi appoggio ed ascolto, cerco di entrare nell’animo di Lui, del Mare. Chiudo gli occhi e mi abbandono. La mente va, non ricordo nemmeno dove, ma si fa cullare dal vento e dalla schiuma. La mente va, libera. Mi sento come Jonathan e volo libero nel mio cielo blu. Schizzi di sale mi arrivano ogni tanto e li assaporo sulla lingua grato a questa natura che mi fa assaggiare sprazzi di sé e mi consente di avere il tempo di gustarne. Ringrazio, dentro me, fuori di me, ringrazio perché mi sento fortunato. Molti ora stanno lottando per sopravvivere o contro un male che li attanaglia. Anche io ho il mio male oscuro, ma posso ascoltare questo posto, io ora sono qui, nel Mare, nel suo animo, o Lui è in me. Dico “Grazie!” e sorrido dentro me.

Riapro gli occhi. Lara si è seduta, gioca con un sasso, le basta nulla per la sua felicità. La signora non si è mossa, ma, sente il mio sguardo, si volta. Ci guardiamo senza vederci, poi lei torna a se stessa ed io senza darle fastidio mi dedico ad altro, a cercare posti dove volgere me stesso.

Uno strattone al guinzaglio e Lara si desta dal suo nirvana. Mi guarda, emana amore, emana fede, in me.. quella fede che io cerco intorno a me. Lei l’ha trovata dentro quest’uomo inquieto. Ci guardiamo, le sorrido, le sussurro una parole dolce, quel che il cuore ora mi suggerisce ed una carezza le cade sul muso semplice e sincero.

“Andiamo!” una parola e di nuovo siamo noi due, nel sole, ci allontaniamo e torniamo al cemento della nostra esistenza, con la memoria piena di novità da raccontare a chi.. non so.




domenica 15 giugno 2008

Animalità.. una mia amica mi ha messo questa parola in mente ponendomi senza volerlo una domanda che mi ronza intesta.. domanda o quesito.. quel che conta è che mi pongo la questione..

L’animalità credo sia in tutti noi, più o meno latente, poi la si lascia uscire, la si nasconde, ma esiste. D’altra parte “il regno di animalità” esiste in ogni individuo, dice il buddismo di Nichiren, ed è vero, proprio vero.

Ma qui parliamo di animalità come istinto, come modo spontaneo e non razionale di affrontare le cose, la vita e le relazioni. Credo che io uomo nasconda molto questa mia natura e la nasconda sotto una veste di raziocinio e di “controllo” che mi rendo conto mi limita, ma che mi assai difficile togliere di dosso. Alle volte ho superato quella “soglia” che mi ha fatto non ragionare, mi ha portato ad immergermi quasi completamente (dico “quasi” perché credo non sia stato un abbandono al 100% ma al 99%...). Purtroppo quelle volte sono poche, sono state poche!


Però so che posso superare la soglia. Ho capito che si può fare e che IO lo posso fare! Questo conta. Ho imparato. Anche per me c’è la possibilità ed allora devo solo imparare, avere la pazienza di mettermi lì e macinare km dopo km.. pedale, umilmente. Ascoltare. Seguire i consigli di chi ne sa di più: le Donne!.. Farmi guidare..


Un giorno spero di sfondare questo "muro".. allora non sarò più uomo nel senso culturale del termine, sarò UNO, né uomo né donna.. e soprattutto capirò quel che alle volte fatico ad intuire…




sabato 14 giugno 2008


Percorro le strade e passo vicino a muri imbiancati di gelsomini profumati. Un profumo intenso, non invadente, ma forte e bello. Capogiro, ricordi di un tempo a Capri, una giornata ventosa, ricordi del profumo di mia mamma.. quella donna che amavo e che poi mi fu nemica… e che ora rimpiango.

Una musica echeggia da una radio o da non so dove.. mi riporta ad una volta che Lei mi lasciò ed io le regalai quel disco “If you leave me now…”, e la memoria viaggia a ritroso, senza malinconie, ma rivede il DVD del passato e rivive le sensazioni ed i sentimenti andati e mai perduti, mai dimenticati, dell’animo mio.


Nu pianefforte ‘e notte
Sona lontanamente
E ‘a musica se sente
Pe ll’aria suspirà.

E’ ll’una: dorme ‘o vico
Ncopp’a sta nonna nonna
‘e nu mutivo antico
‘e tanto tempo fa.

Dio, quanta stelle cielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
Vurria sentì cantà!

Ma solitario e lento
More ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo o vico
dint’a all’oscurità.
Ll’anema mia surtanto
rummane a sta funesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannose, a penzà


Come sono vere le parole scritte da Di Giacomo quasi un secolo fa e come la vita è sempre la stessa.. e noi crediamo di scoprirla ogni giorno. Anche questo è bello. Anche questo è Vivere, e sentirsi Vivi…





Mi sento colpevole!


Una rinuncia è sempre una sorta di sconfitta, anche se ci sono mille buonissimi e validissimi motivi per rinunciare.


Avevo investito sentimenti, amore, me stesso, ed ora sto arrendendomi. Il nemico entrerà nel forte e, anche se con l’onore delle armi, mi arrenderò.


Lei andrà via, perché io non riesco a convivere con questo impegno, non riesco ad assolverlo; perché mi sono sentito dire che non sarei capace di risolverlo, che quel che avevo detto oltre un mese fa era solo una delle tante balle, ed io voglio far vedere che non era una balla, perché non riesco ora a dare e dimostrare quell’amore che avevo dentro verso lei e che ora le sto facendo mancare. Ecco perchè sto cercandole qualcun altro che la ami, qualcuno a cui manchi dare amore e che sia disposto a darglielo anche per me. Vigliaccheria? Non so.. Pavidità.. forse… Ma comunque mi sento in colpa verso lei, verso i suoi occhi che mi cercano e mi dicono sempre:” Basta che tu mi guardi, a me basta, io ti voglio bene, senza condizioni e senza altra richiesta, ma amami, per favore!

“Lara, il tuo padrone piange, e tu non sai perché, ma lassù qualcuno lo sa.. chi sa se mi perdonerà!”




sabato 7 giugno 2008

Ho aperto una cartellina che non aprivo da 6 anni. Contiene dei fogli scritti a macchina, una "Lettera 32" della Olivetti, ma i fogli e quello che e' uscito per primo sono di quarant'anni fa.. 1969!

Sembra strano ma anche la scrittura a macchina puo' sembrare come una calligrafia, puo' dare le stesse sensazioni che proveresti se leggessi parole scritte a penna, da una mano che conosci bene, che conoscevi molto bene.

Mi hanno copito degli stralci " Lasciarmi vivere. Assaporare. Godere il fatto di essere vivo, di passare attraverso le stagioni, di vedere e sentire che tornano ogni volta i tempi noti dell'anno.

Godere di essere io, di continuare a studiare me stesso, che non conosco..."

Non immaginavo avrei avuto queste sensazioni.

Quella stessa mano mi accarezzava da piccolo, mi teneva, quando, ragazzino con i pantaloni corti, su sentieri per me impervi, e che oggi percorro di corsa.. arrancavo sotto il sole e sotto le rocce bianche del Monte Pelmo. Quella mano che ricordo, grande, sicura, con una fede d'oro che ora non ho piu', ma che vedo bene con gli occhi del ricordo, quella mano ha scritto con la calligrafia della Olivetti...

Odo ancora la sua voce..

Tutto questo e' bello, malinconicamente bello, ma bello... e ti fa gustare di piccole cose, cose banali, semplici, innocue, apparentemente sciocche, ma che rimangono in te per il resto della tua vita e che porti in te come parte di te.

Questa e' eternita', questo e' continuare a vivere in un altro.

Per alcuni sono solo ricordi melensi forse, sciocche fantasie di figlio che si sente triste.

Per me il bello di avere aperto una cartellina che era li' da 6 anni e che non avevo ancora avuto il coraggio di aprire...ora fra me e me sorrido, non sono affatto triste! :)

Ciao papa', grazie!