martedì 17 aprile 2012



E' arrivata finalmente, annunciata dal rombo del tuono, dalle nuvole grigie che le hanno fatto da ancelle, dal cielo nero che ha fatto da messaggero per chi sa vedere, dall'aria densa di odore di Lei; è arrivata ed ora, lenta, tranquilla, con la sua velocità, cade, ci abbraccia, ed entra in noi tutti, nei modi che nessuno sa, nessuno più ricorda, eppure un tempo sapevamo...
L'acqua, questa Madre che ci dà la vita, senza cui non potremmo sopravvivere, da cui dipende la nostra esistenza e il nostro permanere su questo pianeta in cui sembra ci si dimentichi di tutto tranne di ciò che non serve. L'acqua, la pioggia, la pioggia che Lei ci dona, per nutrire la Terra, per dare fiato alle piante, sue amiche e sorelle, per dare nutrimento e pace a noi tutti, umani che dimentichiamo quello che è il nostro passato.
E' arrivata e cade, semplice, liquida, cade e abbraccia tutto, va dovunque, quando glielo consentiamo, altrimenti cerca di andare comunque, e sono dolori, per noi umani arroganti.
Cade ed entra nella terra ed io sto preparando sapori di antica storia, senza sapere perché, o forse senza capirlo... o forse no....
Preparo e vedo il fuoco che cuoce e scalda, sento l'acqua che cade e nutre, sento l'anima che si ristora di questa acqua benefica che arriva da lontano.
Una amica mi ha parlato di Dee, di nomi femminili noti nella mia infanzia, ma ignoti nel cosa volessero essere, in cosa fosse la loro sostanza, e cerco. Cerco agitato da ansia e fretta di sapere, una fretta data da non so cosa, eppure la avverto, la fretta di arrivare a capire, a conoscere ad accedere alla fonte.
Cerco nomi come Ecate, Proserpina, Demetra ed altre, tante altre, e non credo per caso, appaiono tutte, attorno a me, tutte belle, tutte solenni, nel loro essere Donne, Dee, diverse, inarrivabili, eppure così vicine a me, piccolo animale terreno, e.. d'improvviso tutto è chiaro, non il cielo, ma il perché, il cosa, il come, la ricerca iniziata tempo fa, proseguita per strade diverse, contorte, ma mai abbandonata, sempre ripresa, sempre avvertita come essenziale: la Vita.

Ora, muto, assorto e sereno, in me, posso abbandonarmi a Lei, alla Vita, alla Sua Madre, alle Sue ancelle, al Tutto che mi è stato donato, oggi, in questa che per tanti è solo una normale giornata di pioggia, del litorale laziale.

sabato 14 aprile 2012

Il legno, la natura, il mio dialogo silenzioso



Da qualche mese, così, apparentemente in modo inusitato e casuale, ho inziato a lavorare con il legno, piccoli oggetti che per me, tutti, sono come qualcosa di diverso, non so dire bene... eppure è così.

Oggi ho trovato, leggendo le ultime pagione del bel libro di Etain Addey "Una gioia silenziosa", la vera spiegazione di ciò che provo:

Ecco quella che è l'essenza del mio rapporto con il legno e con i suoi doni che escono tramite me:


“....così intrisi della presunta solitudine della coscienza umana,... non riusciamo a credere che ci possa essere una risposta personale, qui ed ora, da una pianta o da un animale che divide con noi questo momento sulla terra. E se la risposta arriva, non lza riconosciamo neanche...

...l'occhio della natura selvatica è ben posato su di noi, esiste un rapporto assolutamente personale, l'intenzionalità della natura esiste e ci contempla, ma per scoprirlo bisogna accantonare il nostro cinismo e avere la pazienza di osservare cosa succede e poi riflettere a lungo per capirne i nessi.

richiede una vita in cui ci sia molto silenzio e molto tempo.. ci vuole una condizione mentale recettiva, simile a quella del sonno o dl sogno.

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Ho deciso di fidarmi delle mie sensazioni... Forse è bene provare a tenere in considerazione l'intima esperienza e vedere se, accordandole fiducia, si aprono altre conversazioni silenziose.”


Plotino scrive: “Non dovevi domandare, ma comprendere, anche tu in silenzio, come io stessa [la natura] taccio e sono avvezza a non parlare.


(E. Addey “ Una gioia silenziosa”)


giovedì 5 aprile 2012

Normalità miracolosa o miracolo normale...

Oggi avevo deciso che avrei fatto un'altra prova con il mio nuovo shampoo, quello che usa la farina di ceci ed altra roba naturale. Mi ha preso questa smania di fare cose naturali, di tornare all'origine, di fare qualche passo più in fretta sul mio cammino... ed ho fatto il secondo shampoo in tre giorni, cambiando dosi e volendo fare le prove.

Ma non è il risparmio, o la soddisfazione di non comprare qualcosa dal negozio, oppure di dire “l'ho fatto io”, no...è ben altro, è mettere le mani dentro una situazione in cui in genere non si fa: compro il prodotto, lo scarto e lo uso, e quando finisce lo ricompro, ed io sto sotto, utente, oggetto del prodotto, e basta.

Qui sono io che faccio, il prodotto, lo faccio con le mie mani e dopo, me lo gusto, me lo assaporo... se così si può dire di un banale prodotto per pulire i capelli (va beh sono lunghi e potrei fare “cavallo pazzo” e difatti sono “lupodelgrande nord”, ma non è qui la sostanza!)

Ma lo shampoo è stato solo uno degli episodi di oggi.

Ero andato al mio “listening point”, al cimitero americano, poco prima della chiusura, ma in tempo per poter trascorrere forse un quarto d'ora là, al mio posto, vicino alla fontana, da solo, lasciando che i tizi che stavano sistemando i giardini facessero il loro lavoro, ma senza farmene disturbare ed anche senza dare loro fastidio. Sono stato là a sentire l'acqua che cadeva a cercare di capire se ci fosse una qualche melodia sotto. Accidenti alla mente razionale e logica che cerca sempre uno schema, un modello a cui rifare la realtà che vivo!

Non c'era alcuna melodia,, c'era il lento e tranquillo scrosciare dell'acqua, senza schemi, senza ritornello, libero e casuale e bello, proprio perché tale!

E l'ho ascoltato, me ne sono nutrito, ed ho lasciato andare la mente, l'ho sciolta, come un cane quando gli togli il guinzaglio, e sapendo che già l'avevo fatto, ho gustato del suo galoppare libera, come un animale felice di poter correre a perdifiato.

Pensieri, considerazioni, immagini, flash, riflessioni, tutto si è accavallato e mischiato in pochi minuti, ma.. senza alcun clamore, solo con la frenesia e la contentezza che ha un bambino che felice gioca e va dal genitore a mostrare ogni cosa nuova che scopre nel gioco, dalla lucertola alla pigna che è piena di pinoli, al disegno strano eppure bello su un ramo o su una foglia, all'uccello che canta su un albero... la mia mente faceva questo e me ne sono gustato il suo galoppare, il suo correre a destra e sinistra, senza fastidio e eppure impaziente di toccare tutto... l'ho ascoltata, l'ho vista fare questo, ho vissuto questo che descrivo.

Poi a casa, lo shampoo, un'altra dose di naturale, di non artefatto, di lentamente normale.

Ed infine stasera, mettendo pace in me, mettendo un freno a questo mio avere vissuto intensamente un pomeriggio finalmente diverso, ma normale come dovrebbe essere sempre.

Finalmente una spremuta, un'arancia un limone e mi ritrovo, senza volerlo, senza volontà, spontaneamente, e me ne accorgo per caso: a ringraziare l'arancia, mentre la spremo a mano, mentre la giro e vedo e sento il succo uscire e cadere nella vaschetta di raccolta. Grazie per quello che mi dona, a lei ed al limone... e la gioia di constatare come sto parlando con lei!

Pazzo... non credo, in pace, sereno, dentro, avverto qualcosa da cui mancavo da sempre, da una vita, ma intravedo la meta dove devo dirigermi, la sento, come il marinaio che avverte l'odore della terraferma.


Dopo leggo, mi fermo a leggere lento e calmo, assaporare ogni parola come si assapora un buon liquore e la gatta fa una cosa che mai ha fatto. Mi salta addosso come fa spesso, ma sembra ansiosa di stare con me, di strofinarsi, di avere contatto, come se mi scoprisse ora. Mi sale sulla pancia, mi spinge con la testa, vuole contatto, vuole me!

Spesso lo fa, ma mai con questa foga, con questa forte e decisa maniera di volere me, di volere stare con me.

Forse avverte questo mio stare diverso, anzi sono sicuro che sia così.

Le parlo, come faccio sempre e lei mi guarda, sembra capire, capisce, ci si capisce, senza parlare neanche e stiamo così per dieci minuti, lei si accoccola, alla fine, sonnecchia ed io la carezzo, le faccio quello che a lei piace, e stiamo così, felici di questo nostro scambio. Le carezzo le zampine, finalmente, per una volta, senza temere che per gioco mi graffi, e lei mi guarda incuriosita, non muove nemmeno un millimetro, anzi sembra rilassarsi ancor più.

Poi devo muovermi e lei scende.

Ora che scrivo è sulla sedia accanto, acciambellata, appagata, dorme serena ed io avverto la sua serenità. Mentre eravamo così ero a parlare al telefono di animali, di fiori, di vita, di umanità e di sentimenti con una amica, e anche questo è stato Vita, anche questo la gatta ha avvertito, lo so, ne sono sicuro.


Mi sento come un bambino a cui sia stato detto che ha libero accesso ad un parco giochi e che tutto questo non avrà fine, anzi, sarà per sempre e sempre più il suo parco giochi, dove avrà compagni, ma nessuno toglierà nulla all'altro. Ho scoperto questo parco giochi, lo sto scoprendo o forse dovrei dire ri-scoprendo, forse sto tornando a casa e l'emozione di rivedere quello che un tempo lasciai è forte ed intensa, e questo vale ogni metro compiuto nel viaggio ed ogni goccia di sudore spesa fin qui e ognuna che spenderò ancora.

Ho vissuto un normale ordinario e tranquillo miracolo di vita, ho ricevuto l'ennesimo dono dalla Vita, ora posso andare a dormire, la giornata è stata questa.



Mentre inserisco queste parole nel mio blog su Internet mi ricordo che oggi è 5 aprile, l'onomastico di mio papà, andato da tempo altrove. Chi sa se non è stato un suo regalo questo... mi piace volerlo pensare, che sia un suo modo di essermi accanto, nel mio cammino, un suo volermi indicare qualche cosa in più di quello che da solo sto scoprendo... anche questo è bello.


mercoledì 4 aprile 2012



Sono andato a quello che è il mio attuale listening point, come lo chiama Sigurd Olson.

Erano le 16, avevo poco tempo ma non mi importava, per la prima volta forse, non mi sono preoccupato di fare le cose in tempo, anzi in anticipo... “avevo il tempo che mi era stato dato e se era quello, quello avrei usato, vuol dire che quello serviva!”

Sono entrato dal cancello grande, imponente e sempre bello. Il sole del pomeriggio scaldava la terra, le panche di legno scuro, l'aria, ed era bello. Come sempre in quel posto, vado ad ascoltare, quando ne ho necessità, cioè spesso.

C'erano i lavoranti che sistemavano le piante acquatiche nel laghetto ora prosciugato, preparando il paesaggio per il mese prossimo in cui sarà un fiorire di loto, acqua, ed altro verde; c'erano due mamme con bambini, passeggiavano, senza dare fastidio, senza un rumore, eppure i bimbi non sono silenziosi; c'era gente venuta a fare quel pellegrinaggio di cui si sente obbligata quando è là, dove riposano forse 15000 giovani di venti anni o poco più, morti per qualcosa di cui chi sa se sapevano; c'ero io col mio libro in mano, in cerca di ascolto.

Non ho fatto il consueto giro, ho cercato una panca di legno, mi sono seduto ed ho letto.

Forse tre pagine, poche parole.

Quelle che servivano.

Quanto bastava a dare il via.


Poi nulla, silenzio, il libro chiuso, la mente ad ascoltare, il cuore , ad ascoltare, io là, ad ascoltare la mente ed il cuore,.... e il luogo.

Mille idee, mille pensieri, mile emozioni e sentimenti, ma uno solo rimane ora che sto mettendo i puntini sui particolari: la serenità del fare quello che dovevo, nel tempo dovuto, nei modi dovuti.

Il farlo, ascoltando il dopo, ascoltando quello che questa cosa evocava, provocava in me, svegliava dentro di me.

Nulla di strano, nessuna illuminazione, nessun gesto miracoloso, o sensazione divina, solo Vita, tempo che non è, ritmo antico forse, ma quello giusto, modi semplici, che lì, su una panca di legno, nel sole che si abbassava, ho percepito attorno a me, come a mille km di distanza, o ad anni e km distanti, dalle pagine del libro di Etain: tutto come doveva, tutto a posto, ed io che finalmente, ho ascoltato, ho avuto quel che c'era da avere, finalmente!


E' durato poco a vedersi da fuori, forse minuti, forse troppo poco per giustificare un andare a fare una passeggiata: ma non era una passeggiata, poteva essere il cammino verso Santiago, un calvario del venerdì che arriva, quello di Pasqua, poteva essere un digiuno di penitenza duranto quaranta giorni come quaranta milioni di secoli, poteva essere quelle che volete, per me è stato questo: un momento, un attimo, in cui ho visto tutto e niente, sentito tanto eppure nulla, vissuto secoli, rivissuto vite, assaporato odori e fruscii e bevuto l'aria del vento che mi ha carezzato.


E' durato quello che doveva.


Non c'è un giusto, non uno sbagliato.

Questo è, questo doveva, io ho avuto un dono: ero là.