sabato 20 agosto 2011

Vai Pirata !… NO, meglio: Vai Marco !


Sul tornante mentre ero attento a guidare (lo strapiombo di sotto mi convinceva a farlo con una certa attenzione!), gli occhi hanno visto sfuggire, rapida, una frase scritta sui sassi che fanno da massicciata: “Vai Pirata!”, poi è arrivato rapido il rettilineo che segue ogni tornante e la mente si è concentrata sulla guida, ma la memoria l’ha fissata quella curva ed anche quelle parole.

La strada del Passo Gavia alle 9 di ieri non era trafficata, per fortuna!.. chi ha salito il Gavia, che sia in auto, che sia in bici, sa bene che in certi tratti è preferibile non incrociarsi con qualcuno che va in senso opposto, e si spera che sia così ogni volta. Ma la memoria riandava a quelle tappe del Giro, che allora seguivo in tv, perché erano quelle dove c’erano le salite e si vedevano luoghi che mi ricordavano posti che appartengono alla mia adolescenza ed anche al dopo, e che facevano stare anche me, là, su quei pendii erbosi, a seguire i ciclisti che salivano con fatica, in mezzo a panorami che solo chi li ama sa che cosa siano per chi li possa osservare.

Poi una volta, quasi improvvisa, senza preavvisi, una tappa che seguiva i corridori su un passo mai sentito, allora: il Mortirolo.

Credo che fosse Indurain il forte, l’asso del momento; un giovane, non affatto famoso, almeno per me che il ciclismo lo seguo pressoché per niente, fece una cosa incredibile, salì quella strada, che portava al passo, con pendenze che alla tv non rendevano l’idea, ma che ieri salendo in auto, ripassando su quei tornanti che già avevo percorso 5 anni fa, e scalando le marce, vedevo in tutta la loro difficoltà, per le gambe e la testa di un essere umano in bici; questo ciclista che si chiamava Marco Pantani, diede un distacco notevole su quei pochi chilometri, all’asso del momento e divenne qualcuno che in molti amarono e credo anche oggi amino ancora.

Non ho amato il sopranome “il Pirata”, non so perché, forse perché l’ho iniziato a sentire di più quando Marco era già diventato lui l’asso, per me è ed è sempre stato Marco Pantani.

Su una curva del Mortirolo c’è uno striscione, un po’ rovinato, ma che voglio credere sia stato messo da qualcuno che Marco lo ha amato veramente, anche questo l’ho visto di sfuggita, (accidenti a quando devo guidare!), più o meno dice: “Marco ti abbiamo lasciato morire abbandonato e solo…” e poi l’ho perso.

Non credo che l’uomo sia stato abbandonato, ma certo è stato macinato e poi stritolato, in un meccanismo che oggi fa di ogni cosa bella che appare nello sport, qualcosa su cui ci si deve guadagnare; sta alla persona non farsi coinvolgere e credo sia difficile.

Però ripenso a quelle prime volte in cui ancora Pantani non era un asso nel vero senso della parola, era la speranza di vittoria contro i forti del momento, era quello spirito a cui l’uomo qualunque italiano si attacca per avare il suo momento di gloria, tramite l’azione dell’altro: era l’Italia che batte la Germania 4-3 oppure che nel ’82 vince i mondiali e fa saltare sulla sedia anche il vecchietto Pertini, era il Fiasconaro che fece sognare di avere trovato un quattrocentista di valore internazionale, era il Panatta che infilò Internazionali di Roma e Roland Garros ma senza mai farci sentire, a noi che seguivamo in tv, sicuri dell’esito, sempre in forse, sempre in ansia…fino alla vittoria finale.

Oggi non è più così, oggi hai l’asso, anche in Italia, la Pellegrini che vince sicura e che quando non è più tale molla tutto, per i soldi di altri lidi, è la squadra che vince lo scudetto imbottita di stranieri, eppure è un club italiano.

Quel Pantani era italiano, era qualcuno che diede emozioni e che credo, non sia inquinato, nel ricordo, almeno non nel mio, dall’altro, dal Pirata che si lasciò stritolare e schiacciare dopo, da ben altre cose.

Oggi ripercorrere i 32 tornanti del Mortirolo mi ha riportato ad allora e mi ha ridato quei momenti di emozione e non con malinconia, ma con gioia, perché sono stato fortunato, li ho vissuti. Oggi il Giro non lo seguo più, dopo di allora, le cose sono diverse, almeno per me, ma osservare di sfuggita, su quel muretto della strada del Gavia, l’incitamento a lui, Marco, ha donato qualcosa di più al panorama impressionante, verso la valle, che alla mia sinistra si sfilava via via che salivo, faticando, seppure con un motore sotto al sedere verso i 2600 metri del valico.

Sono così le cose belle, le rivedi, le rivivi, le riassaggi e anche a distanza ne risenti il sapore, l’aroma, come quelle musiche che anche dopo venti o trent’anni ti emozionano o addirittura ti fanno spuntare le lacrime.

La fortuna è averle potute assaporare anche in passato e goderne oggi nella memoria, senza malinconia, ma con la stessa piacevole emozione.

E’ bastato gettare lo sguardo su una scritta ad un tornante per darmi questa.

Chi sa quali altre mi riserva il futuro…


sabato 6 agosto 2011



E' una estate tranquilla, fino ad oggi non si smania di notte, anzi, ci si copre, e questo mi fa amarla, quest'estate, mi fa apprezzare anche il caldo, io che del freddo mi nutro, e che dal caldo mi faccio riportare ad atmosfere di confusione e cattive sensazioni.

Mi sono alzato, ripreso dal rilascio completo di me stesso nella notte, sono venuto a farmi la tazza di caffé con cui gusto il tornare a me stesso. Non ho buttato subito lo sguardo fuori dalla finestra, anche se il terrazzo è aperto, se nulla poteva impedirlo. Avevo ancora nella testa il mio stare fra le lenzuola, lasciando che la mente vagasse nel blu, fra sprazzi di nuvole, per poi gettarsi in picchiata su colline o montagne e rasentasse l' acqua dell'oceano assaporando il vento della velocità con ci volava intorno.


La gatta miagola reclamando il suo diritto, il suo volere attenzione e amore e cibo; si strofina e parla, mi guarda e le getto una carezza, la afferro e la porto a me, al cuore, per farle sentire che batte anche per lei: siamo uniti ormai, oltre un anno di vita sotto le stesse giornate.

L'occhio avverte il grigio, avverte meno luce del solito. E' estate, il sole sorge presto, sono abituato a trovarlo già all'opera quando mi alzo io: avvolgere le cose, delicato e silenzioso, carezzare le anime mentre ancora cercano la dimensione del giorno che le invade.

Oggi non lo sento smazzettare in giro e volgo gli occhi al cielo: è grigio.

Non piove, non è autunno, è estate, eppure c'è meno luce: c'è la nebbia!


Gioisco dentro me, quella parte malinconica e triste che ama il silenzio e la quiete e che ascolta il respiro di ciò che vive, gioisce e si gode questa scoperta.

Il bambino che scarta i regali di Natale, così per una frazione di tempo mi sento io.

La osservo, la carezzo io ora, la assaggio, la nebbia.

E' nebbia d'estate, non porta pioggia, non è quella che “...piovigginando sale” e spinge a chiudersi in casa per ripararsi dal freddo, ma è pur sempre nebbia, è tranquillo silenzio, per me.


Quando cambi le lenzuola sul letto, ne metti di pulite e profumate (il profumo di pulito è una cosa che ci fa impazzire a noi moderni, senza di lui, pare non ci sia pulito vero...), vedi le lenzuola abbracciare il materasso, coprire eppure carezzare, vedi coprire con dolcezza e già pregusti anche il tuo goderne. Così questa nebbia che carezza la mia anima come la casa di fronte, l'auto solitaria che scorre nella strada poco lontana come il gatto che nel cortile sta sonnecchiando ed aspetta la sua realtà: il mangiare dalla padrona, dopo la notte.


I rumori affondano nella nebbia, lei li assorbe e li restituisce cambiati, addolciti, anche smussati, come quelle immagini dove tutto è diverso e gli spigoli non esistono e ogni cosa si fonde all'altra pur rimamendo immagine ben chiara. Così la nebba mi rende questo regalo d'estate e me ne rallegro dentro.


Più tardi il sole verrà a spazzare questo sporco che inquina l'estate dei villeggianti di città, verrà a rimettere le cose a posto, come il ristoratore che rassettta la tavola, leva le molliche e toglie lo sporco, quando ti siedi per fare il tuo pasto e lui prepara la tua tavola.


Ma sarà dopo, sarà fra un'ora, forse due, forse oggi non verrà per niente, farà riposo, chi lo può dire.

Intanto assaporo questa, ascolto questo silenzio, lentamente e gradualmente infranto dai rumori della cittadina che torna in sé nel nuovo giorno che viene messo in campo.

Io gusto di questo e metto nello scrigino del cuore. Regali la natura me ne fa, sono preziosi e valgono vite intere passate a correre, me ne rendo conto sempre più e quindi metto da parte l'emozione, accarezzo il cuore che si scalda di questo, e continuo a impilare giorni, masticandoli più lentamente e scoprendone il sapore in ogni angolo, scoprendo che ogni cosa, di sapori, ne ha mille, nascosti, mai notati, e che oggi io ne riconosco alcuni di più che un tempo.


La malinconia non mi rattrista dentro, ma mi rallenta, mi placa i pensieri e me la sento amica. La nebbia copre anch'essa, e mi restituisce l'immagine del mondo addolcita di sé.


Ogni cosa ha mille volti, possiamo vivere mille anni e sempre ne troviamo di nuovi.

Spero di avere sempre spazio nella libreria del mio cuore, non ne voglio perdere uno, valgono tutti.