martedì 4 settembre 2012

Temporale notturno



Nel buio tutto sembra differente, ombre, rumori, pensieri, tutto sembra voler metterci paura, o forse, sono le nostre paure che riemergono, fanno capolino, nascoste nella luce del sole, come vampiri interiori, e riprendono vita, coraggio e forza,e ci assalgono e noi lottiamo per difendercene, per sfuggirle, non so bene; quel che è sicuro è che al buio tutto si percepisce diversamente.


Mi sveglia la luce del lampo e subito il seguente rombo, imperioso, improvviso e forte, vicino, del tuono. Poi come leggo, nei libri di studio della Prima Guerra Mondiale, il rombo dei cannoni, nel bombardamento che precede l'assalto e inchioda i difensori nelle trincee, con la paura di essere squassati dalle schegge e col terrore atavico che è ereditato da millenni prima dell'uomo moderno; allo stesso modo, arriva il continuo rombo di tuoni, alcuni vicini, se non sopra il mio cielo, altri meno, altri ancora lontani, verso le isole che sono nascoste dalla linea dell'orizzonte, ed ora, anche dallo scuro della notte, ma ben udibili e ben risonanti nel mio animo.

Coi tuoni l'acqua, lo scroscio, talvolta prepotente, come un gigante che gettasse secchi di acqua sulla mia testa, alle volte meno furioso, seppure intenso, fitto, tanto da farmi pensare che se andassi fuori ora, in pochi secondi sarebbe come sotto la doccia, ma fredda.


Mi viene in mente una volta, ero in tenda, sotto alti monti della zona dell'Engadina, le pareti scure del granito del Cengalo e del Pizzo Badile a fare da quinte di quel teatro notturno. Un temporale non tanto denso d'acqua, quanto di rimbombi di tuoni, che scoppiavano sulle cime ed echeggiavano nella valle fra i muri di roccia, inchiodandomi nel sacco a pelo, con paura sì. La tenda protegge dall'acqua, ma non dal rumore, chi ci ha dormito lo sa. Non si può fare l'amore normale nella tenda, oppure ruttare, si deve stare attenti, chi ci sta accanto sente tutto. Così i tuoni, gli scoppi, quella notte, mi inchiodarono, atterrito eppure affascinato, per un paio di ore, nel buio più nero, che non era nelle luci perenni della città, ma fra altre tende, dove altri come me, tremavano, forse, pur irretiti dal fascino della Natura che si manifestava così, unica e potente, come è.


Ora nel comodo letto della città, ripenso a quella notte, sono passati forse trent'anni quasi, eppure lo stesso fascino, quasi attrazione, intensa e selvaggia, sento prendermi e risvegliarsi latente in me per questo periodo.


La ragazzina che mi dorme accanto mi stringe il braccio, è piccola, delicata e tenera, non ha esperienza di questo, la sua pelle non è di quel coccodrillo o lupo che vogliamo, che sono ridotto ad essere io, lei è pulita, ed ancora deve gettarsi nelle onde della Vita. Trema, ad ogni botto salta, sussulta, sento la sua paura, e le carezzo la testa con amore di padre e compiancenza, verso me stesso, che malgrado l'atavico timore che avverto, eredità dei miei antenati delle caverne, ho domato almeno in parte, il cieco afferrarmi di questo sentimento; riesco addirittura a gustarne, pur nel silenzio, come tazza calda di the, nel bagnato della pioggia.


Mi sorprendo quasi ad aspettare con gusto il prossimo rombo, pur vagamente ansioso. Non sei mai sicuro, almeno non io. Ormai ho imparato che io sono solo una parte della Natura e che essa non è un Essere a me estraneo, essa è Lei ed io in Lei, e se si sconvolge, posso esserne parte sconvolta, anche io. Non domino affatto questo Essere, non lo posso, né lo desidero, bensì la rispetto, rispetto questa altra parte di cui io sono parte. Il rombo di ogni tuono mi ricorda che sono un battito d'ali nell'immenso e che questa è il senso di immenso e divino e di tutto che avverto alle volte. Questo mi fa stare bene, malgrado il rumore, malgrado la gatta che ha paura anche essa, se il rombo è troppo vicino, se anche lei risponde all'istinto che la fa fuggire di fronte all'ignoto.

I miei antenati nelle caverne, o in capanne di legno, da cui l'acqua trasudava e passava, non penso stessero così tranquilli, in un letto morbido come il mio, avvertivano umido, bagnato, rumori e paura, ché non sapevano gran che. La loro paura è la mia, si è trasmessa da secoli, nei secoli ed a me è arrivata, seppure sgualcita dal passaggio di mano in mano, di animo in animo, fra tanti che mi separano da quei tempi, ma la avverto chiara, è lei, è proprio lei.


Vivo vicino al mare, ora, e sento le onde rombare, nel buio, quando gli scosci di pioggia lo consentono, e pur non essendo un navigatore, mi immagino in una barca, alla cappa, nel mezzo di questo temporale, o tempesta, non so come dirla. Mi vedo piccolo, nulla, nella furia, o forse nella manifestazione di natura e vita della Terra, la Madre cui noi tutti torniamo, dopo anni di vagare disordinato. Mi immagino e mi viene, ora sì, paura, come sarei là, solo, nel buio, ma non sicuro, non mi ci sentirei. Ringrazio la mia vita di passione per la montagna, che mi ha condotto sempre su terreno fermo, e che se anche sotto temporali, mi ha sempre fatto fermare, mal che vada sotto un albero, in attesa del fulmine catartico, o sotto un bordo di roccia, gocciolante nel mio collo, in attesa del dopo. Ringrazio, anche di queste emozioni notturne, perché ogni emozione è pur sempre vita, sintomo di esistenza e queste emozioni, forti, sconosciute a chi si nutre di civiltà ed attende solo il telegiornale o lo special tv o la discoteca, per me sono quello che mi ridona forza, energia per cercare di riprendere a nuotare, per sfuggire, per uscirne, da questa giostra mortale in cui mi trovo gettato da me stesso e consapevole solo ora.


Il temporale sembra attenuarsi, sembra che i rombi si allontanino, conto i secondi fra le luci dei lampi ed il rumore e capisco che sta andando. Altri ora avranno questo dono, queste emozioni o forse solo il suo fastidio; un temporale per tanti è fastidio, un nemico che ci impedisce di svolgere questo monotono gomitolo di sopravvivenza che chiamiamo vita, fatto di abitudini, frustrazioni e privazioni, ignari di dove sia veramente il flusso del fiume, quello che leva veramente la sete e regala la vita, quella viva.

Non importa, ora mi posso rilassare e lasciare la mano della ragazzina; il suo respiro torna lieve, si è placata la sua paura, forse cullata dal gocciolare dell'acqua della grondaia, o forse sopraffatta dal sonno che in lei è ancora abbastanza profondo, ché pulito e vergine dal progresso. Sento anche la gatta quietarsi e tornare una ciambella nera, calda a tranquilla, come di solito.


La vita torna normale, il film è finito, scorrono titoli di coda.

A me rimane il mazzo dei pensieri, delle emozioni, questo non me lo può togliere nessuno, questo mio, grato lo ripongo, domani con la luce lo stenderò sui fogli.

Ora stanco dormo anche io, stacco la molla del cervello, e mi lascio cullare dalle gocce che odo cadere ritmiche e regolari, e sorridendo dentro, nel cuore, metto il punto finale.



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