martedì 17 giugno 2008


Oggi soffia, è vento da Ovest, soffia forte, ma non è freddo. Siamo a metà giugno e non fa freddo, quasi estate! Soffia da ieri sera, stamani c’era il sole, stamani era una giornata che mi affascinava, oggi pomeriggio mi ha stregato.

Il rumore è costante, il mare, la risacca, il vento. Mi soffia in faccia ed io me lo prendo tutto, sto lì sul terrazzo, ad occhi chiusi a sentirne la voce. E’ una voce forte, un urlo delicato, ma si sente bene.

Mi piace farmi inondare la pelle, mi piace assorbirne ogni particella, mi piace farmi inebriare l’animo e la mente, mi piace perdermi nel vento.

Vedo in lontananza il mare con la schiuma, sbuffi bianchi che sorgono dal nulla, sbaffi di fumo che esplodono improvvisi, vedo il grigio delle onde, grigio che riflette il cielo o il cielo è grigio perché tale è il mare! Mi perdo, mi perdo la mente in queste fantasie. I gabbiani giocano, non hanno paura, giocano sempre, forse gli animali hanno una cosa che gli umani non hanno, il piacere del gioco, noi siamo tutti d’un pezzo, presi dalle preoccupazioni, dalla forma, dall’apparenza, dal dovere, dal senso di lealtà: loro sono presi dalla loro animalità, ed ogni tanto ci battono, 2-0 per gli animali.

Ora però vinco io, ora sono un gabbiano che gioca nel vento: salgo, salgo alto e vado contro le folate, ho la capacità e poi mi abbandono, mi lascio precipitare come un sasso, dirigendomi vero il mare. Ricordo Jonathan quando faceva questi giochi, forse li ho imparati da lui.. Ora però è la mia volta.

Un soffio mi scuote, più forte degli altri, la maglietta si alza, il freddo colpisce la pancia, non è freddo, è qualcosa di diverso, ma lo sento! Ma lascio che mi avvolga, lascio che sia lui a prendere il mio corpo ed io a gustarne il tocco.

Come una donna che mi accarezza, la sua mano leggera, le unghie improvvise sulla pelle, i graffi, la presa secca, dura, ma densa di passione. Ed io che mi abbandono alle sensazioni, alla passione, al “sentire” quello che poche volte faccio nella vita.

MI prende dietro al collo, mi accarezza, la mano nei capelli, li arruffa, li carezza, lieve, li afferra, li tira. Sento i denti, il tocco della bocca, sento che afferra violenta, ma dolce, amorevole ma prepotente.

Sento l’aria nelle gambe, sento che mi avviluppa e mi carezza. Sento questo vento che è così diverso da quello a cui sono abituato, dai monti, alla sera nei monti, quando le cime degli abeti si scuotono e lui torna a casa, per la notte.

Qui è differente, è un vento caldo, non secco, qui non viene a dormire, ma viene perché vuole stare qui, oggi, ora, adesso in questo istante, e non intende ragioni. Qui porta con sé ricordi dell’isola lontana, porta odori delle case della baia, porta oggetti trascinati a forza nel suo ventre, porta cose, porta a me qualcosa che non conosco.

Mi abbandono al suo sentire, mi abbandono a lui, a cercare di indovinare il perché di questo istante, il perché di questi pensieri. Mi avviluppo su me stesso, come lui fa attorno alle palme che vedo qui di fronte.

Lascio che la vita mi viva, che mi faccia essere me stesso e non mi chiedo più alcun perché, non serve, non ha alcun senso. Ora vivo.

Ogni istante, mi accorgo che capisco qualcosa di nuovo, che faccio dei piccoli passi dentro me stesso. Ogni istante è come un gradino che salgo e vedo un panorama differente e questo mi piace, mi fa sentire orgoglioso, di averne la forza. Sta a me salire, lo so, ed alle volte mi rifiuto, alle volte ne ho paura. Ma poi mi riprendo, mi risveglio e salgo ancora ed ho qualcosa di differente a cui pensare a cui dare attenzione, da imparare.

Ho bravi maestri, ho una bella scuola, ho anche me stesso a cui devo dire grazie. Il vento è un maestro, o forse è uno strumento, ma ora il vento mi parla, ora mi sta insegnando. Forse non so bene cosa, forse non mi rendo ben conto, ma intuisco che mi sta indottrinando, di cose belle..

Non ho mai vissuto così intensamente momenti come questo. Forse sono decenni che non ne vivo. Ricordo Capri, Damecuta, un pomeriggio simile, iris selvatici di un blu da togliere il fiato, ricordo il vento, la solitudine, noi tre soli. Mia madre aveva paura, aveva paura sempre, mio padre no, era un incosciente forse.. ma forse voleva solo “sentire” come ora faccio io, solo che noi non lo capivamo. Lui avvertiva quella voce, lui “ascoltava” il vento quel pomeriggio, ma noi, mia mamma ed io non ascoltavamo che la paura, io quella della mamma, io piccolo non avvertivo nulla, io ero con lei, ero contro mio padre. Eppure qualcosa il vento mi disse anche allora, perché oggi me lo sta ripetendo e la mente ritorna. Qualcosa è rimasto nella testa di quella lezione studiata di corsa, forse troppo, forse in anticipo sui tempi. Io non ero contro mio padre allora, lo capisco ora, ne avevo solo timore, lui forse non riusciva a farmi capire, forse non ne sentiva il bisogno, io cercavo solo protezione, sotto l’ala della mamma..

Però allora anche sentii qualcosa, avvertii qualcosa e ora lo ricordo, nella memoria del cuore. Oggi forse ne sono cosciente e grato, oggi vivo questo vento, questa natura che capisco amica, sorella, mamma.. di cui mi sento parte viva.

Volgo lo sguardo alle coline, il grigio è più scuro, l’acqua nelle nuvole è carica, pronta a scendere, ma a me piace, sorrido, sono felice, sono entusiasta e sento qualcosa che c’è… avverto .. forse Dio, forse la Vita… respiro, apro i polmoni e continuo a sorridere al temporale che viene.




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