domenica 18 settembre 2011

Buono, selvatico, sacro

Sto leggendo "La pratica del selvatico" di G. Snyder ed un pezzo particolare mi ha colpito.

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Nella sterile bellezza dei prati innevati sulle montagne e sui ghiacciai nascono i piccoli corsi d'acqua che irrigano i campi del business agricolo della grande Central Valley in California. La salita del pellegrino della wilderness lungo un sentiero, passo su passo, respiro per per respiro, a questi campi innevati, portandosi tutto in spalla, è un insieme di gesti talmente antico da riportare in noi un profondo senso di gioia del corpo e della mente.

Naturalmente non vale solo per chi fa escursioni in montagna. Succede lo stesso a chi va in barca nell'oceano o risale fiordi e fiumi con il kayak, a chi cura l'orto, sbuccia l'aglio, oppure sta seduto in meditazione su un cuscino.

Il punto è avere un contato intimo con il mondo reale, il sé reale.

Sacro si riferisce a quanto ci aiuta (non solamente noi esseri umani) a uscire dai nostri piccoli “sé”, per entrare nel mandala dell'intero universo di montagne e fiumi.

Ispirazione, esaltazione e visione non si esauriscono appena si mette piede fuori dalla chiesa.

La wilderness come tempio non è che un inizio. Non bisogna crogiolarsi nella peculiarità dell'esperienza straordinaria, né sperare di abbandonare il pantano della politica per entrare in uno stato permanente di accensione visionaria.

Il miglior proposito di questi studi e di queste escursioni è saper tornare giù in pianura e vedere tutta la terra intorno a noi, quella agricola, suburbana, urbana, come parte dello stesso territorio, mai completamente distrutto, mai completamente innaturale. Si può restaurare, e gli uomini potrebbero vivere in gran numero su buona parte di questa terra. Il Grande Orso Bruno cammina insieme a noi, il Salmone risale la corrente con noi, mentre camminiamo per le vie di una città.

(G. Snyder “La pratica del selvatico” pagg. 111-112)



Credo sia da riflettere su quello che significano alle volte le nostre vacanze, non solo, fuga, evasione, come ci è stato "insegnato" a fare e come viene instillato nei nostri cervelli. Bensì vera ricerca, in se stessi, per ritrovare qualcosa di perso nei secoli, nello scorrere di questa civiltà in declino che ci ha allontanati dalle nostre radici vere.
Se ripenso alle mie vacanze di quest'anno, pochi giorni in Val Camonica, scopro, che senza volerlo, senza accorgermene, ho cercato questo: sono andato a piedi a cercare queste tracce, annusare, frugare, con lentezza e attenzione, alla ricerca di qualcosa che avevo perso, e... forse sto ritrovando...

L'istinto del selvatico sta riapparendo... per fortuna.





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