domenica 4 settembre 2011

Berto fra le rocce rosse


Ero salito sotto il sole, ma l'altitudine ed il vento fresco che spira a quella quota, mi avevano risparmiato il calore nel corpo ed, anzi, arrivato, avevo avuto quasi il bisogno di coprirmi. Lo faccio spesso quando mi fermo, sono sudato, il sudore si trasforma subito in gelo sulla schiena e mi copro: l'ho imparato dai primi anni in montagna, quando mio padre mi diceva di farlo e non capivo.

Mi ero messo da una parte a mangiare, schiena attaccata un masso, pochi biscotti e acqua; porto poco appresso, quello che porti pesa e allora metto poca roba nello zaino, mangio quello che serve, niente di più, meglio una bella birra al ritorno a valle.


Pochi stavano là, al Passo dei Contrabbandieri, sono circa mille metri sopra al Tonale. Non sono tanti quelli che scelgono la fatica senza un ristornate dove andare poi a sentirsi bravi. Su molti sentieri, il turista fatica, sbuffa, suda, arriva magari senza fiato, poi con le gambe sotto al tavolo, riprende vita e si riempie di cibo, sentendosi in diritto, vista l'impresa compiuta.

Là non c'è ristorante, solo quello che ognuno si è portato nello zaino, e la gente, allora, è veramente poca: quello che piace a me.

Nessun chiasso, solo il vento e il sole e qualche corvo, e.. qualche chiacchiera, ma benvenuta.


Sento una voce con un accento emiliano, almeno questo credo io, che vengo dal sud, e sento una frase che mi colpisce: “Penso di avere il diritto di tirare un po' i remi in barca, ora a 80 anni!”

Cerco con gli occhi chi sia a dirlo. Vedo un torace esposto al sole anche se già bello marrone, quasi fossimo a Riccione e vedo una massa di bianco sulla testa. Lo invidio dentro me, non lo dico, sono là da solo e lo penso parlando col mio “me stesso” nascosto.

Sento che ancora parla e mi godo la musicalità del suo accento.


Quando riprendo a salire verso altra cima, gli passo accanto e gli faccio i complimenti, io che non attacco discorso quasi mai! “Ho sentito la sua età! Le faccio le congratulazioni...” Lui mi regala un sorriso inaspettato, come inaspettato è stato il mio dono a lui.

Sta intrecciando dei piccoli steli verdi, con fiorellini. Mi ferma un momento, stavo proseguendo e parliamo. Poche parole. Improvvisamente sento questo Uomo vicino, amico, sento che qualcosa di diverso ci unisce, quassù a 2800 metri.

Poi mi regala quel che sta facendo: “Lo prenda” mi dice. E mi porge una specie di coroncina di erbe con fiorellini gialli e celesti, una specie di corona di alloro in miniatura. “la porti alla Sua bella!” aggiunge, io arrossisco imbarazzato.

Lo ringrazio, mi sorprende.

“Me lo insegnò mio nonno, combattè qui per due anni”. Faccio due conti, il nonno avrà avuto forse vent'anni o poco più allora, nel 15-18.

“Era un alpino, combatteva con il Battaglione skiatori eppure intrecciava fiorellini per la sua amata! Mia nonna!” aggiunge e vedo come sorride e ricorda.

Immagino quell'uomo rude che stava là a salvare la pelle ogni giorno e che intrecciava piccoli steli verdi per colei che lo attendeva chi sa dove, lontana ed in pena d'amore.


Quei fili verdi erano il loro telefono, il legame che lui intrecciava ogni giorno, forse di notte, nei turni di guardia e che nel tempo diventava sempre più forte.

“Pensi non mi ha raccontato molto della Guerra, ma mi ha insegnato questo, che ogni volta che sei solo, se pensi a chi ami, ti senti meno solo e se fai qualcosa per scrivere il tuo amore, ti senti meglio. E lui faceva queste piccole coroncine e le mandava a casa alla nonna, con le sue lettere, lui che non sapeva scrivere bene.

Io ho fatto lo stesso per anni nei miei giri. Oggi li faccio ancora ma non ho più a chi darli. La mia amata non c'è a riceverli, quando li intreccio li regalo tutti.”

Apre la mano con la coroncina bella e delicata, il palmo aperto, le righe nella pelle indurita, eppure aperta a donare!

E' segnata dal sole la sua pelle, gli occhiali scuri nascondono gli occhi, ma giurerei che qualcosa scorre dalle palpebre che si riparano dal sole, forse un po' di umido...

I miei non nascondono nulla, si bagnano di emozione e le lacrime scendono, un nodo mi afferra alla gola e non so dire altro che “Grazie!

Il resto lo dice il cuore e sono sicuro che lui lo sente, e capisce.

Ci stringiamo la mano, una mano che è forte e che trasmette tanto ancora, la sua, la sento ancora adesso che mi ha lasciato la fiducia e anche qualcosa d'altro.


Riparto, cammino lento, ingoio e deglutisco e mi riprendo solo dopo un po'. Gli steli verdi ed i fiorellini sono custoditi nel libro che porto con me dove scrivo quello che mi viene nel mio girare da momenti come questo.


Stanno qui ora, accanto al pc mentre scrivo, li ho messi dentro una quadretto, ci ho fatto una cornice di corteccia, in onore a Berto, quel signore che me li ha donati e che ripete gesti ereditati da un nonno alpino che fra quei sassi rossicci è sopravvissuto per due anni.


I vecchi non ci donano solo ricordi e malinconia alle volte, certi di loro ci danno cose che non hanno valore apparente, eppure riempiono il cuore di bene, e queste tradizioni che nessun libro riporta, perché non sono ufficiali, sono quelle che ce li fanno ricordare per sempre.

I fiori sono secchi ora, ma il loro colore è ancora lo stesso. Il mio ricordo è vivo e l'umido che ho intuito sulle gote di Berto è quello che me lo fa vedere anche ora, come fosse qui. Ci si vede pochi minuti, in un posto sperduto, ci si trova dopo anni di vagare e ci si scambiano poche parole, eppure quelle molliche di tempo formano cibo per l'anima che ci nutre molto più di tanti pranzi.


E la moglie di Berto sicuramente, da dove poteva osservare il marito suo amato, lo avrà amato ancor più, orgogliosa di quell'uomo indurito dal sole che ancora, dopo tanti anni, intreccia fiori per lei e li semina per il mondo.



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