domenica 4 settembre 2011

Attracco


Erano quasi le sette del mattino oggi, era umido come ieri o forse di più. Ero uscito per sfuggire al caldo e per cercare di assaggiare un po' di silenzio del nuovo giorno e della calma che viene regalata ad ogni sorgere di sole fra le barche addormentate, dove l'odore di salsedine fa da sfondo alla cartolina del porto che ogni mattina vede una edizione nuova da offrire a chi sa vederla e comprarla col proprio cuore.


I passi risuonavano tranquilli sui ciottoli e gustavo lo sciacquio degli scafi ed i richiami festosi dei gabbiani che giocavano a disegnare una tela di fili scombussolati, nell'azzurro ancora grigio della notte appena sfocata.

Stavo arrivando alla fine del molo principale, quello più lontano e scomodo, dove le voci della città sono solo ricordi che svolazzano confusi e dove anche il suono delle campane di S. Rocco arriva in ritardo.

Due alberi ondeggiavano ed una schiena rossa di sole era piegata a disegnare un qualcuno che stava rassettando il marrone di uno scafo del 1988.

Era vecchia la barca, forse, ma era lucida e bella, di quel legno marrone, come le baite fra i monti che amo più della mia vita, quel marrone che mi fa molto casa e che mi dà la sicurezza che dietro ad esso non mi può accadere nulla.

I capelli lunghi e scompigliati, il sudore scendeva fra di essi e colava sul rosso della pelle della schiena, le braccia muovevano lente e ritmiche uno straccio che lento anch'esso portava a brillare anche dove di brillante non c'era nulla.


La barca era una di quelle vere, era una autentica, l'ho capito anche io che di barche non mastico nulla, ma l'ho sentito, e ne sono stato sicuro, solo nel sentire quello quanto da quella scena mi arrivava dritto al cuore.

Mi sono fermato quasi, ho voluto assaggiare ogni millimetro del quadretto ed ogni singolo colore, e i passi sono diventati fermi, come i piedi e la mente, irretita da una tela che poteva essere stato dipinta decenni fa, prima che qui arrivassero gli “Alleati”.


Ha avvertito i miei occhi e si è voltato.

Azzurro! Se l'era portato appresso dal mare che ieri aveva traversato, e l'aveva appoggiato nel suo sorriso.

Il vento era rimasto fra il grigio dei capelli e quello della barba e volteggiava tranquillo come lo sguardo che mi regalava.

Il sorriso era aperto, come quello di chi incontro in montagna. Monti e mare: la natura, quella non addomesticata, quella reale, quella di cui l'uomo è solo parte e non nemico o avversario, la natura ti riporta ad essere vero, e lo vedi negli occhi, lo senti dentro quanto ci si incrocia.

Lui è così: vero!

E ci sorridiamo e ci salutiamo. Si ferma nel suo riordinare la sua casa mobile, e mi chiede di salire. Io che ho sempre ammirato queste barche di legno, che le ho sempre viste come fossero dei camper del mare, con cui tracciare linee nuove ogni volta e che ti donano libertà reale, di non ripercorrere una strada già fatta, io ora salgo e gusto ogni momento che vivo qui sulla “Marina Mia 1988”.


E' un attimo e sul tavolo, a poppa, compare una coppia di tazze e beviamo e stiamo a parlare come fossero secoli che non ci si incontrava dopo avere fatto tante volte il giro mondo, ognuno su una sua linea personale. Abbiamo quasi gli stessi anni, lui qualcuno di più, è come se avessimo lo stesso DNA e come se dividessimo il pane da sempre. Le parole scorrono lisce, le risate e l'intesa viaggiano da un lato all'altro del tavolo come magia sciamanica, ed io mi trovo a specchiarmi nel suo azzurro mentre lui si rivede nel mio sognare libertà e fare progetti di vita in fuga dal mondo.

Escono foto, cartoline e libri: i libri sono il cibo che a me piace e che mi fa intendere i gusti altrui, e ne troviamo comuni: London, Rigoni, Slocum, Larsson, Vinci. L'aria si fa unica, si fa speciale, ho incontrato un fratello, lui anche lo sa.


Si parla e si beve, e la giornata entra diversa nei nostri cuori, e noi l'abbracciamo, l'accogliamo e la beviamo in modo nuovo, imprevisto eppure entusiasmante.


Mi racconta di sé, gli dico cose che pochi, di me sanno, e mi domando poi perché, mentre parlo, ma è un fratello, al fratello non nascondi nulla, anzi, apri il cuore, dopo anni di lontananza.

“Marina Mia” è la “sua” ed è andata via secoli fa, volata nel mare che lei amava come lui, innamorata del mare perché lui ne era innamorato, sorella del mare, perché lui glielo aveva messo nella culla.

Marina è altrove, fra i “quaranta ruggenti” ed il ghiaccio del Nord, fra le trombe di vento dei Caraibi e le nebbie delle Orcadi, fra la rotta dell'Olandese volante e quella dove Moby Dick fugge alla morte.

Marina corre nel vento e mette le vele sempre al meglio, corre col suo veliero e fa gare che nessuno osa, è pazza e vince sempre. Marina non la batte nessuno, nessuno riesce a tenerne il ritmo.


Mario a Marina la ama e la serba nel cuore e la segue, sente in radio dove sta e cerca di incontrarla nel porto di approdo, o sente la posizione e prova ad incrociarla, ma lei è troppo veloce, lei non si ferma mai.

Ed allora Marina è stata legata là, alla sua poppa, con parole di argento, che lui lucida ogni mattina e tiene sempre pronte, quando lei tornerà a bordo a visitare questo veliero che le deve una bottiglia di champagne.


Ci stringiamo la mano, i nostri occhi si abbracciano, l'azzurro vede il mio marrone e ci si intende e ognuno volta la schiena al fratello, sicuro che non ne verrà alcuna sorpresa.


Torno in città, lo straccio riprende a strofinare sul legno, le campane di S. Rocco segnano la messa, le pecorelle in fila entrano nel loro ovile, assetate di salvezza, e Mario continua la sequenza del suo rosario, in silenzio, masticando la speranza che Marina appaia all'imbocco del porto.


Ormai il sole sta inondando la cittadina e l'umido ha ripreso il suo posto sulla nostra pelle, il chiasso della vita “normale” si è riappropriato delle anime di noi tutti. Laggiù alla punta del molo, uno straccio lucida il legno chiaro, un gabbiano urla e si posa sull'acqua vicino a poche lettere d'argento, un'onda lunga venuta da un gommone accarezza il legno di una barca.

Chiudo il pennello nella scatola e metto la tela nella cartellina, i colori sono a posto. Mi abbasso all'acqua della fontanella, chiudo gli occhi, butto il viso sotto il getto, bevo mentre mi inondo di fresco e rivedo l'azzurro del cielo negli occhi di mio fratello.



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