martedì 24 maggio 2011

In riva al mare...


La domenica è giorno di corsa.

Si viene da una settimana di frustrazione o di stress e ci si sfoga, correndo nei modi più goffi e strani ,e così questa popolazione di zombie che resuscitano un giorno ogni sette, la vedi spandersi un po' dovunque, almeno qui, dove vivo. Tra case e vie che sanno di sale e vento.

Lascio segni non profondi, ho anche io le scarpe da running, ma cammino, non mi va di correre. Mi piace assaporare i passi, anche io ho corso, anche io sono parte di questi dannati.

Le orme rimangono poco sulla sabbia. Sul bagnasciuga l'acqua ogni tanto passa e fa il reset e tutto torna liscio, come nuovo. Segni di zampe, di unghie che mordono il terreno, continuano verso l'interno della spiaggia. Ne sento il verso. Un gruppo di gabbiani sta becchettando qualcosa che ha trovato, operatori ecologici del litorale. Un altro di loro, forse è Jonathan, chi sa, si bea nel suo galleggiare lento, cullato dalla marea e dalle onde tranquille, senza curarsi di trovare il mangiare per oggi, non ora.


Sento un urletto, uniccolo biondino alto meno di un metro chiama la mamma. Sono soli, tra la sabbia non pulita, ancora qui non è zona di stabilimento, ancora c'è libertà, e.. sporco. La mamma carezza con lo sguardo il piccolo e lui biondo oro, le tende la manina, e tutti e due, senza scarpe si incamminano lasciando segni diversi, piccoli e grandi, dove senti l' unione dei loro cuori.


L'acqua fa un'ansa e le onde stranamente, qui, fanno rumore, non ne so il perché. Nel mio andare lento, non di corsa, posso ascoltare, fermarmi, senza temere di perdere tempo.

In terra tante conchiglie, un tempo le raccoglievo, oggi le ammiro, le lascio là, al mare, a chi vorrà farle sue, oggi mi godo il solo vederle.

Ero piccolo anche io, con la mia di mamma, non ero biondo, ma anche io tenevo una mano, ed anche io volevo quella sicurezza, oggi non posso averla, oggi non mi è permesso, sono cresciuto, fine del gioco.


Lentamente lascio il molo tondo dei pescatori, dove il mio amico va a leggere romanzi gialli, e vado verso quello che resta di un bagliore turistico. Rimane del blu sulle pareti, scrostato e raschiato dal vento e dalla salsedine, scritte appena accennate: “Albergo-Ristorante...” non importa cosa, conta che la natura si riprende quello che noi crediamo poterle usurpare.

L'uomo avanza, spavaldo e guadagana lo spazio, lo leva a lei, la natura, la stessa che parlava con l'islandese di Leopardi, ma anche la stessa che poi, lenta, senza chiasso, si riprende quando tutto non serve, oppure arrabbiata, ricorda che è stata offesa e porta via le vite, natura assassina pensa la gente, scrivono i giornali, senza contare agli omicidi fatti ogni giorno nel nostro vivere opulento.


Vado poi, verso l'acqua, mi inoltro sul molo in mezzo al mare, rovine di legno anche qui, in mezzo a barche in cantiere e canne da pesca che silenziose puntano all'azzurro del cielo e trattengono fili invisibili che entrano nella pelle del mare. Uomini silenziosi, ognuno con il suo sé, ognuno con qualcosa che sta là, con lui, mentre le onde riflettono il sole che sale, lento, eppure sempre puntuale, ogni giorno, ogni anno, da sempre.


Il vaporetto, ali sull'acqua, ruggisce e morde mentre si lancia verso l'isola lontana e la gente, felice, dentro la sua pancia, osserva la terra che va via, e gode del ruggito di quella tigre potente, mentre io ne avverto la puzza aleggiare qui, fra le canne di carbonio ed il silenzio di chi aspetta che lui, il suo pesce, vada alla trappola tesa.


La domenica si vive diversi, chi non ci lavora, di domenica, per riprendere fiato prima di tornare alle celle del feriale, ma si vive anche per vivere, si gusta di cose semplici, e si ha modo di ricordarsi che la vita è là, ad attendere, mentre siamo noi che la dimentichiamo ad ogni angolo che giriamo. La domenica il silenzio aiuta a ricordare che siamo umani, che forse oltre all'apparenza c'è qualcosa di altro; la domenica è uno di sette giorni, eppure ha un suo posto, diverso.


Vivere al mare ha un suo fascino, come vivere in montagna. Io sono di montagna, io al mare non ci volevo stare, ma la vita è uguale e la sento e la vedo, e il mare me ne insegna altra di vita. Vivere al mare è stata una benedizione, anche per me.


Arrivo finalmente al chiosco, la ragazza al bancone già mi conosce, sono quello della pizzetta rossa col cappuccino freddo, mi sorride e lo prepara mentre poggio le monete sul banco rispondendo al sorriso.


La vita è fatta di questo, per me.

La vita mi regala tanto.


Alzo gli occhi: il sole sale, scalda, manda sudore a me, in silenzio gli sorrido e giro il cucchiaino nel latte, devo sciogliere lo zucchero....



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