sabato 26 febbraio 2011

Il musicista

Il treno era in procinto di lasciare la “grande stazione” Termini ed i passeggeri si sistemavano, ognuno scavando e sistemando la propria “nicchia” che gli sarebbe servita nel periodo del proprio viaggio per difendersi dagli altri, oppure per cercare di tessere un rapporto mondano, così vago e tenue che poi si sarebbe sciolto come neve al sole, nel tempo di un lampo, finito il viaggio e l'esigenza di colmare una solitudine.

Pochi entrano in treno per vivere, non serve, la maggior parte ci transita come su un autobus, si trincera dietro le cuffiette del Ipod, o dietro le pagine di un libro oppure dietro lo schermo del computer portatile, qualcuno prova a vedere gli altri come essi umani, esattamente come lui, ma sono pochi ultimi Mohicani, sparsi sulle carrozze del nostro Paese come razza in estinzione.


Il ragazzo, forse già uomo, sui 35, aveva barba un po' lunga, non incolta, bensì voluta csì, era evidente, gli dava un aspetto accattivante, un po' come un attore di qualche fiction TV, si portava dietro un trolley come quasi tutti sui treni, ma sulle spalle (la custodia tradiva l'oggetto dentro) aveva anche una chitarra.

Mentre si sistemava nel posto in diagonale rispetto al mio, la chitarra cadde in terra e lui, pronunciando improperi in modo sommesso, ma evidente dalla sua espressione facciale, la raccolse e riuscì a trovarle un posto sicuro sul portabagagli sopra al suo posto.

Si sedette vicino al finestrino e scomparve dalla scena, per il momento, rientrando nella massa dei passeggeri “allineati e coperti” del Frecciarossa in procinto di lanciarsi nella campagna romana a folle corsa, per bruciare i tempi e far fare presto a tutti noi.


Quando già il capotreno stava per fischiare, una donna arrivò trafelata, aveva corso, si intuiva dal fiatone, ma recuperava in fretta, sistemò la borsa alla meglio vicino alla chitarra, si lasciò abbandonare sul sedile accanto al ragazzo e finalmente si tranquillizzò, mentre il treno si muoveva lento, alla partenza.

Il treno lasciava Roma e mentre la campagna cominciava a sfilare dai finestrini, in qualche modo i due iniziarono a parlare, forse perché lui leggeva qualche spartito e lei parlava di una figlia che studiava musica... non so bene, ma lo sentii di sfuggita.

Le parole mi arrivavano comunque, io ero attento a ciò che leggevo e non badavo troppo a loro, eppure mi incuriosiva la scena. Non capivo se era lui che stava attaccando discorso e cercando di fare il galante, ovvero se semplicemente stessero parlando e la donna cercasse soltanto di scambiare delle parole tranquille, come capita ogni giorno a tutti noi.

Io leggevo e sentivo ad un metro di distanza che il dialogo continuava, e percepivo che lui, il ragazzo, era piuttosto esperto ed addentro nella musica e nello spettacolo (d'altronde uno che sale su un Eurostar con una chitarra non la suona tanto per strimpellare: si esibirà in qualche concerto, oppure insegnerà, o ancora studierà al conservatorio,....qualcosa di “serio” la farà di sicuro!).

La donna chedeva, parlava e sembrava alle volte interessata o alle volte più schiva, ma nulla affatto infastidita e la scena continuava.

Lui teneva banco, spiegava e parlava, ora un pochino a voce più alta, più incisivo, più sicuro, lei seguiva: era stata rapita.

Si inserì anche un terzo passeggero, che stava di fronte al musicista e la cosa si sviluppò, poi, dopo una mezzora, lentamente l'atomosfera si placò: il dondolìo del treno culla i pensieri ed i riflessi e spesso gli occhi si chiudono, dopo avere messo il segno nel libro che si legge, ovvero si aggiusta il volume dell'Ipod per cullare i pensieri e poi i sonni movimentati dal treno. Anche loro, la donna ed il musicista, rallentarono il ritmo, ma lui, ancora ogni tanto parlava, anche se sommessamente, sempre in sottofondo, come una musica di sfondo..


Non ho sentito gran che, non erano fatti miei, eppure avevo visto dipanarsi una scena, diversa eppure uguale a tante altre e, quando il treno rallentò in vista della prima stazione, quando vidi lui alzarsi e preparare le sue cose e cercare la chitarra, vidi cambiare l'ambiente sul palcoscenico.

Lui si alzò, lei sorrise, ma schiva, molto riservata e si salutarono, con tranquilla simpatia, senza altra confidenza, evidentemente lui aveva solo parlato, non era uno dei “soliti” uomini che ci provano sempre...

Quando fu nello spazio fra i sedili, lui le diede il saluto finale, si strinsero la mano, lei gliela porse e ci fu il contatto, poi... improvviso ed inaspettato, lui portò la mano di lei alla bocca, si inchinò leggeremente e gliela baciò!

Rapido, efficacie e semplice!

Io rimasi a bocca aperta, si fa per dire...

Poi si ritrasse, lui, le diede un ultimo saluto e si voltò per avviarsi alla porta, con la chitarra sulle spalle.

Lei tranquilla, la osservai, ritrasse la mano e come se tutto fosse stato normale si rimise a leggere il libro che aveva in grembo.

Da tutta la scena forse solo io ero rimasto colpito, o, chi sa... forse no. Sorrisi a me stesso. In un periodo in cui quasi ci si vanta di essere ignoranti, di insultare un altro o tanti altri, o di essere arroganti perché fa sentire forti e sicuri, in un'epoca in cui ci si riempie di protervia anche nel discutere di banalità, un uomo, giovane, dell'era moderna, con un gesto semplice, d'altri tempi, aveva ribaltato, in una frazione di secondo una atmosfera, gettando nel vuoto del treno, ma chi sa se poi un vero vuoto, un gesto, un modo di fare, di essere (non so se sincero o meno, non importa!), sicuramente un gesto di rispetto, piccolo, banale e semplice, ma diverso.


Oggi ancora mi vedo davanti quell'immagine e sono grato a quel musicista che credo mai rivedrò, a quella scena, a quella frazione di secondo. Un dono, come una semplice margherita colta in un prato, ha sempre un valore e lo portiamo sempre con noi.

La vita ne fa tanti, di doni...


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