Quando
presi questo libretto, lo acquistai sotto la spinta della
fiducia che l'autore aveva conquistato nel mio cuore per altri
scritti famosi e non, e che non so spiegare bene.
Non
si tratta della bravura come scrittore, che in superficie si potrebbe
individuare come responsabile di questo legame particolare con “il
sergente Mario”, bensì di qualcosa di altro e che sta nascosto nei
recessi della mia anima e che a ben pensarci non ha spiegazione
razionale.
Credo
sia qualcosa di strano e che mi lega a lui come a mio padre, forse in
lui ho rivisto il mio papà, la guerra fatta non da eroe, ma da uomo,
che subisce decisioni di cui non sa bene la ragione, ma che assolve
ad un dovere, che così gli si è insegnato; la tranquillità
dell'uomo dopo, la pacatezza della maturità, non so... oggi anche un
legame verso la terra natia e verso le piccole abitudini ed usanze,
di cui Rigoni non ha scritto molto, ma che stanno là, ben chiare,
nei suoi scritti, specie quelli in cui descrive i luoghi della sua
vita.
Quando
acquistai questo libretto (così mi sento di poterlo chiamare,
visto che sono “solo” 44 pagine), non ho fatto altro che seguire
l'istinto, quell'istinto che non mi ha mai tradito, ad oggi, in 56
anni, nel prendere un libro e decidere di farlo oggetto della mia
attenzione.
Lo
avevo anche già letto, ma allora era stato un po' per incamerarne un
ennesimo, da mettere come tacca, nel mio carniere, arrogante
uomo che sono!
Quando
ieri l'ho preso dallo scaffale, e deciso di tornare a leggere, anche
allora, ho seguito il mio istinto, e questo istinto qualcosa mi
voleva far avere e notare: forse adesso ho un po' più di maturità e
mi si è data una opportunità ulteriore..
Ho
sfogliato le poche pagine, stavolta con attenzione.
La
voce del mio amico me le ha descritte, non lette, le ha
raccontate, con calma, con la pacatezza che apparteneva a lui, e che
ha donato a me, che finalmente, attento e intelligentemente umile,
nell'apprendere da altro Essere Umano, gli ho riservato.
Si
sono alternate descrizioni brevi come schizzi impressionisti, vedendo
inverni lontani anni, nella gioventù dell'uomo allora ragazzo,
quando poche e semplici cose rendevano degna una vita assai
essenziale; si sono scorsi inverni di fiamme della guerra gelida e
crudele nelle piane del Don, come inverni più vicini a noi, sempre
nell'Altopiano, dove l'Uomo Mario, ritrovava e coltivava nel silenzio
e nella sua tranquilla anzianità, usi che aveva appreso da ragazzo e
che si era conservato nella sua vita traversando mari agitati e
tempeste che non tutti avrebbero saputo affrontare.
Quest'uomo
sopravvissuto a migliaia di km sotto il fuoco dell'avversario, eppure
non mostra mai un briciolo di risentimento verso quello che altri
definivano “nemico” e che lo avrebbe ucciso, visto che “nemico”
e per di più “invasore” era stato anche lui; quest'uomo vede e
descrive sempre l'umanità, di gesti, abitudini, riti, atmosfere
anche di quotidiana normalità e le fa quasi desiderare a me che le
osservo dall'esterno delle sue righe, eppure spettatore non estraneo.
Quest'uomo
risveglia ricordi ancestrali in me che ascolto le sue parole. E
descrive e fa nascere il desiderio di reimparare tanto, di vivere per
apprendere di nuovo, o forse farlo veramente, per la prima volta.
Mi
colpisce questo suo descrivere con tranquillità il lavoro: “..è
bello lavorare non per accumulare denaro sul conto corrente, ma
scorte di legna secca, farina, patate, verdura in composta...., i
prodotti che la natura ci dona dalle semine di primavera alle
raccolte dell'autunno” e capisco quanto questo Uomo che è noto
perché è stato il “Sergente nella neve” sia un Uomo di valore
anche e soprattutto per molto altro, nascosto, ma non tanto; questo
altro che è alla luce del sole, e che la Vita mi ha donato,
in un caldo pomeriggio estivo dell'agosto 2012.
Ed
alla Vita sono ancora una volta grato.
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