martedì 20 novembre 2012

Il vero cambiamento




Ho iniziato a fare esercizio, devo dire assolutamente piacevole, per riappropriarmi del piacere di Vivere.

Oggi sono tornato dal mio lavoro, e senza che nulla di speciale fosse accaduto, all'improvviso, le parole che seguno mi sono sgorgate spontanee, nella mente, le ho scritte ed inviate ad un amico:

La meraviglia ed il piacere di tornare in casa e sentirsi in pace con poco e di nulla. Il piacere di fare le coccole alla gatta mentre ti spogli e godere delle sue fusa, di cuocerti “soltanto” degli spinaci in padella ed in cui metti del parmigiano, dei pinoli e della panna, e che accompagni con pane di Lariano e Chianti...
Tutto nel silenzio che ti fa da concerto ai pensieri che dipani entro te stesso, mentre senti l'odore di ciò che prepari che si spande lentamente.
Mentre entravi in casa gocce di pioggia iniziavano a carezzare le case e le persone, e tu, ora sei nel “calore” del tuo semplice, banale, umile, nido... o tana
Ricco di qualcosa che vale più di mille tesori, ma che non ha nome, né contorni, eppure tu senti di averlo...
La Vita è solo fatta di tanti piccoli silenziosi momenti: ognuno va solo vissuto...


Credo che questo sia un passo essenziale, e perlomeno per me lo è.



sabato 17 novembre 2012

Nel buio lo sciamano intravede la luce


Nel buio della notte, mi sveglio improvvisamente, mai saprò se si tratta del raffreddore o della tosse, o di altro. Ho la sensazione che sia la seconda ipotesi, ma chi ha certezze assolute in questa vita?
Non ha importanza, importa seguire il filo, quella sottile traccia di luce, o di profumo, che mi suggerisce la direzione della mente.
E la mente segue, docile, in questo momento, almeno all'apparenza, governata da me e non cavallo pazzo, autonoma ed impossibile a dirigere, come durante la luce del sole.

Mi alzo, gli occhi sono aperti come di giorno, eppure attorno tutto è silenzio, il sonno regna fra gli umani. La gatta mi scruta, si strofina, sento le sue fusa, poi torna ai piedi del letto, caldo, dove ama avere il suo regno.
Mi alzo, gli occhi sono aparti, ma non come quando c'è il sole.
Ragiono, ma non normalmente.
Ragiono...? a che serve dire che “ragiono” ? Che senso ha volerlo a tutti i costi? In realtà sto seguendo la traccia, avverto che devo, voglio andare, seguire , e lo faccio, non mi curo del come e di dove mi conduca.

Scrivo, al computer che ormai è il mio taccuino. Non sono provetto a farlo svelto, eppure, nel buio, le dita trovano i tasti come non faccio col sole, le parole sgorgano come torrente di montagna, quei torrenti di cui amo sentire lo scroscio amico quando li avvicino nel verde. Il filo si sviluppa, chiaro, semplice. Scrivo e capisco, mentre scrivo si chiarisce cosa, e sento che mi sto aprendo a qualcosa che non so cosa sia, ma lo sento chiaro, ne sento la potenza, il chiarore come di un alba che fisica non è: alle tre del mattino il sole è ancora un ricordo di ieri.
Riprendo tutti i pensieri che prima, nel letto stavano là, accavallati, accalcati e pronti ad uscire, come paracadutisti in fila per lanciarsi nel vuoto. Ora escono tutti, e la linea si fa chiara.

Nel buio mi sento come se avessi la luce, ma non di qualche verità come quelle di cui ormai è troppo intasata la vita di tutti, una verità più intima, semplice, reale, la mia. La mia piccola e banale storia diventa più semplicemente chiara.
Mi tornano episodi, ritorna il ricordo anche del passato remoto, anni dietro, secoli fa della mia infanzia e ne scovo particolari, ne vedo piccoli momenti, li vivo come fossero qui e li trovo nuovi eppure noti: tutto è diverso, tutto è nuovo, eppure già era noto.

Lo sciamano che è in me sente chiare certe cose, vede cose che il sole mi offusca, sono un morto vivente che cammina fra apparenti vivi, sapendo dove cercare. Ma io non cerco la morte, bensì la Vita, quella vera, che al sole viene nascosta dal clamore, dall'abbaglio, dal caos, e la vedo ben chiara, la seguo, la sto pedinando. Non sono affatto morto, sono morto a quella vita, che chiamiamo così perché ci è stato insegnato, ma avverto e vedo questa come Vera, nessuno me ne leverà mai più la certezza, lo so!

Trascorre il tempo, lento eppure come lampo, mi ritrovo a vedere che la notte forse sta iniziando a scemare, e torno a riposare, a svolgere la routine giornaliera.

Ormai un dado è stato tratto, non si torna indietro, non più, le legioni hanno le navi bruciate e si va solo avanti verso la Vita. Sorge il sole in questo novembre del litoarle romano, e un vago sorriso mi si disegna nello sguardo o nel cuore mentre preparo il caffé del mattino: “good morning..sciamano..”


martedì 13 novembre 2012

Tempesta


Sento prurito al braccio, alzo la mano e mi gratto. Decido di di pulirmi le braccia o le gambe, le lavo, dopo averle insaponate, le sciacquo, mi strofino. Tutte azioni i del tutto normali, del tutto quotidiane.
Le osservo dall'esterno, anche da un punto di vista dove possa fare una sorta di zoom, di ingrandimento, e vedo delle parti di me, molto grandi, che vanno ad agitare peli, piccoli e fini peli, li spostano anche direi con una certa violenza, per poi pulirli e rimetterli a posto, o meglio, lasciare che se ne tornino a posto, man mano che si asciugamano. Tutto normale, molto normale,nessuno se ne scandalizza né pensa che le mie mani siano nemiche dei peli, anzi, io che sono colui che ha una certa coscienza di se stesso, sono considerato pulito e per bene, visto che mi tengo pulito e faccio queste azioni di cui sopra.

Due giorni fa sono andato al mare mentre il vento infuriava e piegava le palme della strada e gocce portate dal vento, di acqua salata, cadevano a mo' di pioggia sull'asfalto.
Visto da un punto di vista esterno, diciamo allontanandomi dalla terra di qualche km, e dando un'occhiata al mare ed al vento che dal mare proveniva, l'altro giorno ho pensato a quella scena come qualcosa di simile al mio quotidiano pulirmi, al corpo, un tutt'uno che stava provvedendo ad alcune funzioni considerate necessarie.
Nessuna “natura nemica”, nessuna mare che aggredisce la terraferma”, nessuna immagine apocalittica mi sembrava intelligente. Vedevo palme gigantesche e robuste piegarsi e flettersi sotto la spinta del vento, e poi tornare immediate a posto. Qualche ramo di albero o di palma, sul lungomare, poi dopo, l'ho trovato spezzato, in terra. Esattamente come quando mi lavo che qualche pelo, quelli più pecchi, più deboli, si stacca e cade...
Ma nulla che potesse avere a che fare con una immagine in cui una parte lottava contro un'altra.

Allora dove sta l'inghippo?
Nel nostro continuo e storico considerare la Natura come entità esterna a noi stessi, come non volerne neppure considerare la possibilità che siamo un tutt'uno, una unica entità di cui ognuno è parte e di cui vediamo processi e fenomeni ma dall'interno!

Da quando sto modificando il mio punto di vista, il paradigma con cui osservo ciò che accade e in cui sono coinvolto, cambia anche la mia reazione e il mio sentire verso le stesse situazioni. Ciò non toglie che non desideri essere trascinato via da un'onda anomala o rimanere schiacciato sotto un cornicione spazzato dal vento, ma... è diverso lo spirito con cui osservo e vivo il tutto.

Invece di passare il tempo in faccende inutili e assolutamente senza significato come alcuni dei nostri passatempi che poi, finiti, ci lasciano esattamente nel punto in cui eravamo, forse... sarebbe utile, soprattutto al nostro stato mentale e sentimentale ed emotivo, riflettere su qualcosa di sostanziale...
Ma riflettere, pensare, formulare pensieri ed idee, vuol dire poter essere indipendenti e non governabili, e questo può essere che non piaccia... e quindi continuano ad ammannirci motivi di riflessione assolutamente idioti e senza significato, per menti così indaffarate pensare diviene una chimera...


domenica 11 novembre 2012

Abitudini....


Sono stato fortunato. 

Sono nato 56 anni fa da due genitori, che ormai non sono più qui, da cui ho avuto affetto, serenità e calore familiare, malgrado avessero difetti come ogni essere umano di questo mondo.
Nessuna violenza di alcun tipo, eccetto il fatto che di scapaccioni sul sedere ne ho avuti, ma quella non era violenza, perché ne ho avuti solo quando è stato necessario. Nessun altro tipo di traumi particolari.
Una adolescenza serena, anche se con poco denaro, con cose essenziali e semplici, ma quelle che mi lasciano una memoria densa di affetto e un po' anche di nostalgia, lo confesso.
La domenica mattina (in realtà la cerimonia iniziava il sabato sera), quando ero piccolo giocavo, quando ero più grande studiavo, ma costantemente con un odore di sugo fatto con pomodori, alle volte con della carne a spezzatino messa a cuocere e stufare lentamente. Per ore questo tegame (allora di coccio e non di acciaio inox) in cui il rosso diventava sempre più intenso e questo odore che si spandeva in casa e faceva da sottofondo alle faccende tutte.
O la sera prima, se tutto era iniziato presto nel pomerigio del sabato, ovvero in mattinata della domenica, poi, avveniva l'altro rito: passare il tutto in quel passino a manovella, di acciaio inox, quello sì, che spesso toccava a me, in cui entrava tutto, tranne la carne, è naturale, e da ci usciva polpa.
Poi ancora a cuocere, o meglio a consumare, rapprendere, diventare quel sugo così buono con cui mia madre, poi, verso le 13, condiva la pasta che era buona come più ne ho mangiate nel tempo.

I pomodori non sono quelli che allora compravamo al mercato. Qualche contadino veniva fin là, a Roma, a vendere il prodotto del suo lavoro, e noi compravamo quasi a km zero, e gustavamo sapori che ormai abbiamo dimenticati.
In tutto ciò, la vita familiare si svolgeva in una routine direi molto ripetitiva, eppure c'era qualcosa che la rendeva bella, serena, direi unica.
Armonia. Malgrado non avessimo che una TV regalataci a forza dal nonno, e niente altro svago che una radio a valvola, ricostruita perché era un ricordo della famiglia, ma niente altro: PC, microonde, cinevison o stero a dieci canali, nemmeno l'automobile per fare le gite fuori Roma, per sfuggire alla metropoli, niente altro...

Eravamo sereni, tutti, ognuno a modo suo.

Ora provo, sto provando a riappropriami di quel calore umano. Provando....reimparando..

Sarà l'età o veramente che avverto quel che veramente è essenziale a Vivere una Vita: ora preparo il sugo di pomodoro, non sempre, ma lo faccio, provo, seppure i pomodori sono diversi. Provo a stare la domenica in casa al mattino, seppure prima mi faccio 12-15 km di footing, al mattino presto. Provo a mettermi a leggere, gustando di quel calore che emana da questi gesti semplici e banali, ma che amo, ancora o di nuovo.
Curo le piante del mio orto (per ora) sul terrazzo. Pulisco casa, riordino o organizzo il bucato. Insomma faccio qualcosa che vagamente posso dire, sono le faccende della domenica.
Ma questo non significa che non andrei volentieri fuori a fare un giro in montagna, se ne avessi la possibilità...

Ma cerco di assaporare, ricercare e ricreare quelle piccole cose, banali, quasi senza importanza, apparente, che invece sono quelle che mi rendevano serena la vita, ma che la rendevano vivibile e serena anche ai genitori con le loro preoccupazioni da adulti.

La strada per riprendere in mano la Vita, o forse per prenderla finalmente in mano, sento nel cuore mio, passa anche di qui...


giovedì 1 novembre 2012

La montagna e non la città...






La montagna e non la città!
Per me la montagna non è stata e non è tanto e solo parete da scalare, o pendio da salire, o massa che mi intimorisce ai cui piedi mi sento piccolo eppure parte di lei. La montagna è un modo di sentire, di essere, di percepire, è una selva di emozioni come un mazzo di fiori in cui c'è di tutto.

La montagna con la pioggia, forse la amo di più.
Ricordo di quando il cielo era basso e grigio di nuvole cariche di acqua, Quando le nuvole erano qualche centinaia di metri sopra me e carezzavano gli abeti vicino casa, ed era difficile mettere anche il naso fuori, perché pioveva, magari da mattina presto, quando invece del sole dietro il crinale che ci sovrastava, trovavi già le gocce che scendevano lente o intense, a seconda dei casi. La grondaia del terrazzino che faceva da tettoia e sotto cui mi mettevo a cercare di star fuori, all'aria, gocciava, portava acqua a terra, nella ghiaia bianca. Faceva freddo, anche se era magari estate, eppure amavo quei momenti, sentivo di stare bene, di essere là, in quel momento, una parte di qualcosa di unico.
Ero ragazzo, direi ragazzino, e non capivo bene, ora scrivendone, lo avverto chiaro.
“Il richiamo” era quello ed io d'istinto lo ascoltavo e lo vivevo, ero solo immerso in una rete ancora non visibile che man mano, negli anni si sarebbe sempre più chiusa, fino a mettermi ben bene nel sacco.
Ero felice, stavo bene.
Mi rintanavo magari sotto il piumino, o al tavolo a studiare o giocare a carte, al chiuso, osservando di sottecchi fuori, le gocce, la pioggia, il bagnato in terra, a sentire quei momenti, avvertirne l'odore e rubarne l'aroma, come un orso ghiotto fa con il profumo del cestino della merenda che intende andare ad esplorare...

Eppure ero felice anche quando tornava il sole. Uscivo nel mattino freddo, perché era freddo e lo sentivo sulle gambe, avevo spesso i pantaloni corti, anche a vent'anni. La pelle d'oca e il freddo sul viso o sulle mani. Eppure i raggi facevano capolino dietro allo spigolo nero che sovrastava la valle dove vivevo quei momenti splendidi come mai. Uccellini piccoli credo, a giudicare dal loro verso, iniziavano a cantare lodi o gioia di vivere, un venticello freddo eppure dolce mi avvolgeva quando dal caldo della casa uscivo su quella stessa ghiaia bianca che assorbiva la pioggia e ne godevo il tutto che non so bene manco cosa fosse veramente.
Freddo che sentivo forte quando uscivo dal caldo del rifugio, più in alto, sotto le pareti, ed ancora nell'ombra fredda della notte, pur se il cielo era azzurro pel giorno che si stava alzando. Uscire era bello, anche stare là, in silenzio, ché la maggior parte di noi era ancora assonnata, e i pochi che preparavano gli zaini o le corde e i moschettoni, erano silenziosi, forse avvertendo, incoscienti, che erano momenti sacri, quelli.
Era tutto bello, era magnifico, ora lo so!
Stavo bene!

Montagna e non città. Dove venivo riassorbito, risucchiato da tutto. Una giostra, come l'ha descritta Terzani, da cui scendere è diventato sempre più difficile, finanche impossibile quasi.
Piovra che ti avvolge e stringe fino alla gola per soffocarti ed impedirti di essere animale in nome della civiltà o peggio, del progresso.
Eppure oggi non mi sento progredito, se guardo indietro agli anni spesi. Avrei potuto spenderli forse più ad osservare gocce cadere dalla grondaia o le nuvole grigie nel cielo basso o a rabbrividire nel freddo del mattino. Ma la vita non ha deciso così per me, ha lasciato che arrivassi fino ad oggi. Ma oggi riaffiora il ricordo e la nostalgia. Sono momenti condivisi con amici che ormai sono molto più assorbiti di me, perché convinti che “così va la vita”.
Io no!
Nel ricordare, nello stesso scrivere ora, ho un dolore sordo allo stomaco, dentro. Ho male e allo stesso tempo sorge forte incomprimibile, la decisione, irrinunciabile.
Ne approfitto, sto segando la fune che mi tiene qui, e piano piano la lama, seppure rovinata dal tempo, arrugginita forse, sta sfilacciandola, la fune, e vedo i trefoli staccarsi, spezzarsi e dividersi e sento la tensione che sta diminuendo, sento che sta per staccarsi tutto e farmi fare il balzo; forse con lo strattone dello strappo cadrò e mi farò anche graffi, ma staccherò la fune, la sto staccando e tornerò ad assorbire quegli odori, di pino bagnato, di terra umida di pioggia o di sole nel mattino, ad aprire i polmoni all'aria fresca e fredda, o ad immergere il viso nell'acqua gelida della fontana. Non ci saranno più materialmente quelle persone che un tempo c'erano. Ne avvertirò la mancanza. Ma è una pagina nuova, non serve dolersi della vecchia, non si gira indietro, non si può. Però tornerò là e ringrazierò di questa fortuna: avere il desiderio di vivere.
Per me quella è la Vita: “la montagna e non la città”!